La pista privilegiata porta a chi aveva accesso all’impianto installato nell’abitazione della studentessa. Password semplici, telecamere anche nelle camere e un upload lampo su siti porno
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Non sempre il mistero abita nei codici più sofisticati. A volte è più vicino del previsto, nascosto dietro una password troppo facile o un accesso lasciato attivo per comodità. È il caso che sta scuotendo il mondo dello spettacolo: il furto e la diffusione del video privato di Stefano De Martino e della sua giovane compagna Caroline Tronelli non sarebbe opera di un gruppo hacker internazionale, né di un oscuro smanettone del dark web. La pista principale porta altrove: verso chi, negli anni, ha messo mano all’impianto di sorveglianza installato nella casa della studentessa.
Gli investigatori hanno ormai isolato un elenco circoscritto di tecnici che, dal 2015, hanno lavorato sul sistema domestico. Un impianto che permetteva ai componenti della famiglia di controllare gli ambienti connessi anche da remoto: tablet, smartphone, una password da inserire e i flussi delle telecamere diventavano accessibili. Protetto, sì, ma non blindato. E soprattutto posizionato in ogni stanza, camere comprese, scelta motivata da esigenze di sicurezza familiari pregresse. Una misura che in tempi normali serve a proteggere. In questo caso è diventata l’arma perfetta per una violazione intima e redditizia.
Secondo gli inquirenti, l’accesso abusivo avviene quando la relazione diventa pubblica, dopo mesi di assoluto riserbo. È lì che il potenziale valore del materiale esplode: un volto noto della tv, una giovane fidanzata, l’inedito della storia. È un tempo preciso, quasi un interruttore. E la mano che lo aziona, per chi indaga, è “interna”. Non serve forzare firewall complessi quando si ha la chiave della porta.
Il 9 agosto, poche ore dopo la diffusione sui social delle prime foto della coppia, succede tutto. Un accesso al sistema, l’estrazione del file, la pubblicazione lampo su una sezione amatoriale di Pornhub. Il titolo scelto non lascia spazio a dubbi: “De Martino”. In rete diventa subito un file da caccia grossa, rimbalzando su Telegram e generando visualizzazioni in manciata di minuti. L'impressione è quella di un gesto pensato, rapidissimo, destinato a trasformare un momento privato in merce digitale da monetizzare occultamente.
Il dettaglio che accelera tutto, paradossalmente, non arriva da una task force informatica, ma da un fan comune. Navigando, si imbatte nel video, riconosce il volto di De Martino e segnala tutto al conduttore. Un avviso che spezza l’illusione dell’anonimato dell’autore. Le visualizzazioni, intanto, corrono. Ma è la dinamica del caricamento a attirare l’attenzione degli investigatori: il tempismo, l’etichetta, il circuito scelto. Tutti segnali che portano a una persona con consapevolezza piena del contenuto e, soprattutto, del suo possibile valore mediatico.
Non è un caso isolato. Nel mondo delle celebrità, il furto digitale dell’intimità è diventato una dinamica oscura ma familiare. Qui, però, non si tratta di cloud violati o telefoni spiati: la porta di ingresso era fisica ma digitalizzata, custodita da chi avrebbe dovuto proteggerla. È per questo che la Procura non ipotizza solo l’accesso abusivo al sistema informatico ma procede per revenge porn, fattispecie che esiste quando la diffusione è volontaria e mirata a ledere la sfera privata.
Sul fronte investigativo, ora l’obiettivo è doppio: identificare la mano che ha estratto il file e risalire a chi, successivamente, lo ha rilanciato. Perché se è vero che chi ha pubblicato per primo potrebbe avere guadagnato cifre “in nero” dall’operazione, è altrettanto vero che esiste un mercato sotterraneo di rivendita e rilancio che si muove a grande velocità. Una catena fatta di account usa-e-getta, contatti anonimi e piattaforme terze. Il file corre, l’origine si offusca, la traccia digitale si assottiglia. Ma non scompare.
E poi c’è un retroscena che ha attirato l’attenzione degli inquirenti: un investigatore privato ha riferito che il presunto responsabile sarebbe stato avvistato in spiaggia in Calabria, vantandosi dell’“impresa”. È un tassello non verificato, ma racconta bene il clima di incoscienza e vanità che spesso accompagna questi episodi: l’idea di aver compiuto un colpo senza conseguenze, trasformando una relazione privata in un trofeo illegale da esibire.
Per ora non ci sono nomi formalmente iscritti nel registro degli indagati. La prudenza è massima, anche perché il danno causato alla coppia non è solo reputazionale ma profondamente personale. È l’invasione della stanza più intima, la profanazione digitale travestita da “colpo”. E intanto, in fondo al fascicolo, resta la domanda più semplice: valeva davvero tutto questo per qualche clic clandestino? La giustizia, ora, dovrà rispondere.

