Il sangue dei bambini grida vendetta, non nel senso della ritorsione, ma della giustizia. Resterà impresso nella memoria collettiva, marchio indelebile di un’epoca che ha tradito i propri valori fondamentali
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Sono passati oltre seicento giorni da quando l’inferno si è abbattuto su Gaza. Una terra già fragile, segnata da decenni di conflitti, embargo e divisioni, è diventata oggi il teatro di una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo. Decine di migliaia di morti, un’intera popolazione spinta verso la fame, la miseria, il trauma permanente. E tra i crateri, i corpi, le macerie: il sangue dei bambini. Bambini uccisi nei bombardamenti, bambini che muoiono per fame, per mancanza di cure. Bambini condannati a non avere futuro.
Il mondo guarda. Sconvolto, ma in gran parte silente. Le istituzioni internazionali oscillano tra dichiarazioni formali e impotenza diplomatica, mentre si levano le voci sempre più disperate di intellettuali, artisti, attivisti, studiosi – molti dei quali ebrei, dentro e fuori Israele – che denunciano con coraggio l’orrore che si consuma nel silenzio dei palazzi del potere.
In Israele, un governo dominato da forze fondamentaliste e ultranazionaliste continua a portare avanti un’azione militare che, al di là di ogni legittima esigenza di difesa, ha travolto ogni limite di proporzionalità, umanità, diritto. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, già sotto processo per corruzione e più volte contestato nel suo stesso Paese, passerà alla storia come il leader che ha permesso – e talvolta cercato – una spirale senza freni. A lui, e a chi con lui governa, resterà impressa l’onta di questa carneficina.
Il mondo arabo, spesso paralizzato da divisioni interne e interessi contrastanti, osserva con rabbia e impotenza. Le manifestazioni di solidarietà non bastano a fermare i droni, né a salvare le vite. L’Europa fatica a trovare una voce comune, stretta tra la condanna dell’antisemitismo e la necessità – ormai urgente – di chiedere conto a Israele delle sue azioni. E gli Stati Uniti? Dopo le iniziali pressioni dell’amministrazione Biden, il sostegno acritico a Tel Aviv è tornato a prevalere. Gli aiuti militari non si sono fermati, le armi continuano ad arrivare, e con esse la complicità.
Eppure, le immagini che arrivano da Gaza hanno rotto le barriere della propaganda. Sono immagini che sconvolgono: bambini sepolti sotto le macerie, ospedali distrutti, madri che piangono davanti ai corpi straziati dei propri figli. Non c’è strategia politica che possa giustificare tutto questo. Non c’è calcolo geopolitico che possa assolvere una comunità internazionale incapace di dire basta.
Fino a quando durerà questo inferno? Fino a quando il diritto sarà piegato all’interesse? Fino a quando il grido di chi soffre sarà ignorato per non disturbare l’alleanza con un governo che ha smarrito ogni senso della misura?
Il sangue dei bambini di Gaza grida vendetta, non nel senso della ritorsione, ma della giustizia. Quel sangue resterà impresso nella memoria collettiva, marchio indelebile di un’epoca che ha tradito i propri valori fondamentali. Chi tace oggi, sarà giudicato domani. E la storia, come sempre, saprà distinguere chi ha avuto il coraggio di alzare la voce da chi ha scelto il silenzio complice.
Perché non si può restare neutrali di fronte al massacro degli innocenti.