C’è un confine che non dovrebbe mai essere superato. E invece, nel nome del guadagno facile e del sensazionalismo estremo, qualcuno ha deciso di varcarlo con cinismo e disumanità. A quasi diciotto anni dal delitto di Garlasco, le immagini dell’autopsia sul corpo di Chiara Poggi sono finite in vendita online. Sì, vendute. Offerte a pagamento da un soggetto che, senza alcun rispetto per la dignità della vittima e per il dolore dei suoi familiari, ha deciso di trasformare un documento medico-legale in un macabro prodotto da monetizzare.

Il Garante della Privacy, venuto a conoscenza della vicenda, è intervenuto d’urgenza con un provvedimento che blocca immediatamente la diffusione del materiale. Il contenuto, classificato come video esplicitamente riferito all’autopsia di Chiara, è stato rintracciato su canali telematici accessibili a pagamento. Una dinamica che l’Autorità ha definito in modo inequivocabile: “Diffusione illecita”.

Non solo. Il Garante ha voluto rivolgere un monito severo anche ai mezzi di comunicazione e a chiunque possa entrare in possesso di queste immagini: la loro pubblicazione, anche parziale, è da considerarsi totalmente illegittima, in violazione delle Regole deontologiche dei giornalisti e della normativa sulla protezione dei dati personali.

Parole dure, necessarie. Perché quello che sta emergendo non è solo un episodio di pirateria digitale o di violazione del diritto alla privacy: è la spia di una deriva morale preoccupante, dove la morte di una giovane donna brutalmente uccisa può diventare materia per un commercio osceno, che si alimenta della curiosità più morbosa e priva di scrupoli.

«Chiunque entri nella disponibilità di tali immagini – ammonisce il Garante – è tenuto ad astenersi dalla loro diffusione, che lederebbe in modo gravissimo la dignità della vittima e quella dei suoi familiari». Il rischio è concreto: nei giorni scorsi alcune pagine e forum avevano iniziato a circolare con riferimenti ambigui, link sospetti e perfino anticipazioni “blurred” (sfocate), che lasciavano intendere la presenza di materiale riservato. Qualcuno ha fiutato la possibilità di fare click, like, visualizzazioni. E magari anche soldi.

Un comportamento che grida vendetta non solo dal punto di vista legale, ma anche etico. Chiara Poggi è morta a 26 anni, nel modo più crudele. Il suo corpo è stato oggetto di esami medici fondamentali per le indagini. Quelle immagini non sono intrattenimento. Non sono contenuti da spacciare in Rete come fossero scene da un film horror. Sono testimonianze di una tragedia, protette per legge e per decenza.

L’Autorità per la protezione dei dati personali ha fatto sapere che si riserva ulteriori azioni, anche sanzionatorie, nei confronti di chiunque abbia contribuito a diffondere, promuovere o monetizzare quei contenuti. Intanto, si sta cercando di risalire al soggetto che ha messo in vendita il video: potrebbe trattarsi di una figura che ha avuto accesso diretto agli atti processuali, o che ha ricevuto il file da un canale parallelo, legato alla catena giudiziaria o mediatica.

Il caso, già di per sé raccapricciante, solleva interrogativi inquietanti su come viene trattata la memoria delle vittime nei casi di cronaca nera. E su come la digitalizzazione dei fascicoli giudiziari, se non protetta a dovere, rischi di diventare una porta spalancata sul voyeurismo più vile.

Perché, se è vero che il diritto di cronaca è sacrosanto, è altrettanto vero che esiste un limite invalicabile. E quel limite, in questa storia, è stato travolto da una sete di visibilità che non ha più nulla a che fare con l’informazione. Solo con l’abisso.