C’è una frase, nel nuovo libro di Fedez, che suona come un manifesto: «Le persone credono che io decida, pianifichi, organizzi. Ma la verità è che, dall’inizio, non ho deciso quasi niente». Si apre così "L’acqua è più profonda di come sembra da sopra”, il memoir appena uscito per Mondadori. Non una biografia, ma un’autopsia sentimentale di un uomo che si è mostrato dappertutto e compreso quasi mai. L’infanzia difficile, la Milano sbagliata, i giri pericolosi, le droghe, il matrimonio con Chiara Ferragni e il collasso mentale dopo il tumore: ogni capitolo è una ferita che sanguina ancora.

Fedez racconta senza sconti i suoi inizi, quando era solo Federico e frequentava compagnie da cui oggi terrebbe lontano persino suo figlio. «È stata un’adolescenza terribile. Frequentavo ambienti pericolosi, tra microcriminalità e spaccio. Se nasci lì, devi farci i conti, è inevitabile». Dentro quelle notti milanesi c’era anche Ghali, «un grande amico» che «alla prima parola storta si lanciava e si andava a picchiare». E poi quella sua caratteristica surreale: «Aveva il superpotere di sanguinare dal naso anche al tocco più leggero. Bastava guardarlo e partiva il sangue». Il tono alterna ironia e confessione, come se il rapper giocasse con la propria immagine pubblica, spogliandola una riga alla volta.

Le pagine più velenose, però, arrivano quando entra in scena il grande naufragio: la fine del matrimonio con Chiara Ferragni. «Le nostre differenze emergevano come iceberg pronti a far affondare la nave», scrive. Poi affonda la lama: «Durante il matrimonio ho accettato passivamente le frequentazioni di mia moglie. Quell’architetto superfancy di Milano, il designer iperinserito, gli amici della moda… Una confezione bellissima. Ma dentro, per me, puzzavano tutti». Il rapper si toglie la maschera e ridicolizza il mondo che lo aveva accolto come uno di loro: «Erano noiosi, convintissimi in modo immotivato. Stavo alle cene e fissavo il cellulare. Non li guardavo neanche. Dopo sette anni di pettegolezzi – chi dorme con chi, chi viene licenziato – davvero non ne potevo più».

Tra le righe c’è disprezzo, ma anche una forma di nostalgia per l’ingenuità perduta. «Meglio uno che ti mostra subito quanto fa schifo, piuttosto che un pacchetto perfetto che dentro puzza di marcio». Fedez racconta di aver visto nell’azienda della moglie una specie di “Rotary Club”, un ambiente dove tutto era marketing, dove anche le emozioni dovevano funzionare a orario. Ma non si risparmia neanche lui. Si descrive come un uomo tossico di consensi, incapace di distinguere il bisogno d’amore dalla necessità di essere notato.

Poi arrivano gli attacchi, diretti, frontali. Contro Selvaggia Lucarelli, che definisce «una truffbuster che non cerca notizie ma nemici». Contro Marco Travaglio, che accusa di egocentrismo: «È arrivato a dire: spero che Fedez non abbia lasciato Chiara per colpa mia. Gli ho scritto che è un mitomane. Da lì, basta». E contro il mondo intero che lo osservava crollare mentre chiedeva aiuto.

C’è spazio anche per la politica: la fascinazione per i Cinque Stelle, l’incontro con Gianroberto Casaleggioun complottista geniale, un po’ il nostro Elon Musk ma senza la parte imprenditoriale»), e la delusione per un movimento che «ha sedato la rabbia invece di trasformarla». Sulla legge Zan chiarisce: «Non sono mai stato “Federico Arcobaleno”. La mia battaglia era contro chi ostruiva il processo democratico. Ma la legge, in sé, era scritta male».

Il racconto diventa più cupo quando il rapper parla della malattia: il tumore neuroendocrino al pancreas, «la stessa di Steve Jobs». «Quando me l’hanno detto – scrive – mi sembrava tutto ovattato, lentissimo e velocissimo insieme. Parlare con Gianluca Vialli mi ha salvato: la sua serenità mi ha dato forza». Ma dopo la guarigione è arrivato il vuoto, la depressione, il pensiero del suicidio. «Avevo mollato gli psicofarmaci di botto. Quelle pillole erano diventate la mia pelle. Appena le ho interrotte, il cervello ha cominciato a urlare. Passavo le giornate sul divano. Poi il tentativo di farla finita. I carabinieri ti piombano in casa. Grazie a un dottore amico ho evitato che venisse fuori il vero motivo del ricovero».

Eppure nel caos c’è spazio anche per il grottesco, come nel racconto del provino per X Factor, fatto dopo una notte di MD. «Avevo le iridi completamente nere, alteratissimo. Per sembrare intelligente la prima cosa che dissi fu: “Comunque Amici di Maria fa cagare”. Poteva finire lì, invece piacqui. Ma non riuscivo a stare fermo: facevo girare il telefono con un dito finché mi volò via e si sfasciò contro il muro».

Alla fine, “L’acqua è più profonda di come sembra da sopra” è un autoritratto senza trucco. Non c’è il Fedez influencer, ma l’uomo che si guarda allo specchio e non sa più chi vede. Il ragazzo di periferia che ha vinto tutto e ha perso quasi se stesso. Non chiede perdono, non cerca compassione. Si limita a raccontare, con una lucidità tagliente, la verità di chi è sopravvissuto al successo. E la sensazione, leggendo, è che stavolta l’abbia fatto davvero: sopravvivere.