È ora di cena quando il cielo di Palestina lampeggia attraverso le pareti trasparenti di un calice di vinello rosso. Corpi in sequenza elettronica sull'asfalto televisivo non hanno più corpo. Siamo così cinicamente assuefatti al sangue in scorrimento sul display da non riuscire a rinvenirvi alcun indizio straziante di realtà? In genere, reagiamo pigramente: si fa strada una sorta di astensione dei sensi. Il canovaccio tecnologico, del resto, è - per statuto - immateriale. Consiste nella fraudolenta blandizie degli elettroni che non puoi annusare. E così, dentro una vorticosa "estetica della fretta" la cronaca si fa storia sorvolando il dorso del tuo bicchiere. Tuttavia, dietro ogni bagliore che rischiara il tetto d'aria del mondo si acquatta l’orrore. Potentissimo e irrevocabile.

L’eccidio di Gaza, trasmesso in diretta planetaria, scandisce l'incedere dei giorni. Il nostro - ormai - è un vivere per "delega", il cui ritmo è affidato alla trascrizione digitale. A meno che non si voglia rivendicare una sorta di estraneità rispetto alle inesorabili immagini, che restituiscono la traiettoria delle bombe criminali di Netanyahu. Ad ogni modo, non puoi non negoziare con la tv il tuo punto di vista sul mondo. Rischieremmo, con tutti i distinguo del caso, il destino dello sfortunato eroe del Videodrome di Cronenberg, che spara al teleschermo per non essere simbolicamente "censito" dentro un paesaggio perdutamente paranoico e, al tempo stesso, di attendibilissima, realistica ferocia. La strage, premeditata e posta in essere dal primo ministro israeliano, è uno schianto della civiltà. E per chi la osserva da casa - va in scena lungo un orizzonte digitale, nella massima compressione temporale dell'istante mediatico.

Più che di un racconto, sembra trattarsi di una sorta di transestetica sinistra che - paradossalmente - tradisce il suo stesso mandato: derealizzare i fatti per tradurli in software. Cosicché il software sanguini. Non c'è differita né sospensione. Non c'è ritardo nella messa in onda simultanea dell'Evento, che si fa osceno proprio perché inibisce la proroga necessaria alla Parola, all'Idea. Baudrillard lo aveva inteso prima di ogni altro: la televisione annulla le categorie classiche di spazio e tempo in modo che, da spettatori, possiamo situarci, hic et nunc, nel ventre di ogni accadimento.

Lo sterminio, ormai irradiato dalle onde magnetiche nelle nostre vite, arde in prossimità di consuetudini domestiche che ritenevamo impermeabili. Lo sterminio ci accerchia. È terribilmente vero. Senza playback.

La morte stessa – d'altro canto – resa ormai molecolarmente manifesta da impietosi prosceni multimediali, dimora laicamente presso quest’attualità empia, che ne divelle il solenne mistero violandone il manto regale. La terrea sacralità. La morte, insomma, non è più faccenda di altri, ma irrimediabilmente tua. La vedi tramutare in percezione nettissima. Si aggira tra gli aromi dei tuoi reiterati caffè. Prenota i tuoi taxi, sale a bordo dei tuoi treni, si attarda nell'ultimo millimetro di una sigaretta che congiura contro il tuo respiro. Ti usurpa gli specchi, la nuvola di un fard in disuso. Si accovaccia tra le pigre, dissimulate lentezze di un pomeriggio primaverile. Ogni tanto la senti muovere passi di rumba a ridosso dei fondali della notte. Ti sorveglia. Non molla, la morte. Dispone di soldati simbolici sempre attenti. Di guarnigioni che presidiano le tue insonnie. Trattiene in ostaggio le cellule dell'anima. Sparge indizi di sé dentro la regione brulla dell'angoscia. Sovrana, quest'ultima, su qualsivoglia, residuale ragionevolezza.

La percezione della morte confisca ogni altro sentire. Invade le dune dell'Es. Possente e dispotica, detta il suo spartito greve. Il ritmo delle arterie. Ti vive addosso con inaudita sfrontatezza, avendo smarrito la sua aristocratica indicibilità. Interrompe ogni trama misterica per darsi- discinta - al tuo sguardo. Come gli abiti lacerati dei bambini di Gaza.