«Credo che l’operazione odierna abbia una triplice valenza. La disarticolazione delle cosche e la liberazione del territorio da questi delinquenti, l’aggiornamento sul piano informativo con l’acquisizione di informazioni che ci dicono che la “Provincia” esiste, chi comanda e che c'è una camera che gestisce il traffico di droga per la 'ndrangheta è un'acquisizione importantissima che vale per tutto quello che si aprirà in futuro». Il comandante della Legione Carabinieri della Calabria, il generale di Brigata Riccardo Sciuto sintetizza così l’importanza dell’operazione Millennium eseguita oggi dai carabinieri di Reggio Calabria, coordinati dalla direzione distrettuale antimafia.

La gestione della droga

97 persone raggiunte da provvedimenti cautelari (81 in carcere e 16 ai domiciliari tra cui anche l’ex assessore regionale Pasquale Tripodi per il quale è stata esclusa l’aggravante mafiosa), eseguiti da Nord a Sud in Italia, 200 indagati e un quadro definito dagli inquirenti allarmante: di assoluta supremazia il ruolo della ‘ndrangheta nella gestione del traffico internazionale di droga; piena e radicalizzata l’operatività di locali reggini e della Provincia in tutti i settori.

L’operazione Millennium è l’epilogo di una lunga attività investigativi a che ha interessato tre importanti reparti investigativi del comando provinciale di Reggio Calabria: i nuclei investigativi di Reggio e Locri e la sezione operativa della compagnia di Locri. Un'attività ricca di attività intercettive.

Tante le evenienze alla base dei provvedimenti sulle quali nel corso della conferenza stampa si è soffermato il colonnello Antonio Merola, comandante del reparto operativo Carabinieri di Reggio Calabria, durante l’odierna conferenza stampa. La sua disamina parte dalla Locride per poi approdare alla fascia tirrenica.

La “Provincia” e la mancata convocazione di Barbaro

«L’operazione odierna ha portato anche al sequestro preventivo di due ditte. Trattasi di un bar pasticceria della Locride, i cui prodotti venivano imposti da altre attività commerciale, quindi sotto forma di estorsione, e di un'azienda edile utilizzata per gli interessi dell'associazione mafiosa, riconducibile a un soggetto già destinatario di interdittiva antimafia.

L’attività ha permesso di riattualizzare gli assetti, gli organigrammi diversi locali della provincia, Sinopoli, Platì, Natile di Careri, Locri e l’esistenza di una struttura di ‘ndrangheta nominata come la “Provincia”. Nota già diversi anni è un organismo di vertice collegiale. Molto importante, perché ha il compito dirimere eventuali divergenze tra locali di diverse parti della provincia ma anche tra quelli del resto d'Italia e del resto del mondo. In questa attività abbiamo ulteriormente dimostrato l'esistenza e l'operatività anche dei locali Volpiano in provincia di Torino e di Buccinasco in provincia di Milano. Questa “Provincia” è anche garante del rispetto delle regole della ‘ndrangheta.

Giuseppe Barbaro aveva ipotizzato più volte di riconvocarla proprio in concomitanza di alcune violazioni di regole. Violazioni che Barbaro teneva particolarmente che non si verificassero più. Forse l'unica cosa che ha fatto desistere il Barbaro dal convocarla è stata proprio la paura per le investigazioni. Organizzare una riunione di questo organismo avrebbe significato esporsi particolarmente».

Il carico di droga mai arrivato

«Altro fatto molto importante investito è stato quello di un particolare momento di tensione tra le due cosche Barbaro – Castani e Alvaro culminato in un sequestro di persona che potremmo definire lampo ma operato con il vecchio stile e sotto la minaccia di armi. Veniva sequestrato un appartenente agli Alvaro poiché reo, secondo cosca Castani, di non aver restituito 45mila euro che avrebbero dovuto essere parte di un carico di sostanze stupefacenti provenienti dall'estero.

Questo carico - ha spiegato il colonnello Antonio Merola - non arrivò mai e la cosca Castani pretendeva la restituzione di 45 mila euro. Questa persona è stata sequestrata e poi è stata tenuta sotto minaccia per anni fino quando non è stata resa parte della somma e promessa la restante».

Dipendenti senza chiavi e blocco dei mezzi fino al pagamento del pizzo

«Sul lato tirrenico sicuramente l'operatività più importante è quella del locale degli Alvaro di Sinopoli. La cosca egemone - ha spiegato ancora il colonnello Antonio Merola - attuava un sistema estorsivo puntuale ed efficacissimo. Lo attuava nei confronti di tutti gli imprenditori che dovevano lavorare nel luogo, nel territorio di competenza della cosca, con una violenza esplicita e chiara. Il classico metodo era quello di sottrarre agli operatori e ai dipendenti delle ditte aggiudicatarie degli appalti, le chiavi dei mezzi d'opera, dei mezzi movimento terra dei mezzi di opera di servizi. Ne risultava il blocco completo del lavoro fin quando quella ditta non avesse pagato la cosiddetta “messa a posto” alla cosca Alvaro».

La raccolta di voti preservando i candidati

«Sul lato tirrenico o meglio Centro l’attività investigativa ha permesso di ricostruire l’esistenza di un'associazione semplice composta da circa 10-15 soggetti che però favoriva l'associazione mafiosa nella raccolta di voti per le varie elezioni che si svolgevano in questo territorio, con particolare riferimento alle regionali ma non solo. Una raccolta di voti - ha riportato il colonnello Antonio Merola - che veniva eseguita dai promotori di questa associazione, presso le più alte cariche dei locali reggini. L'associazione non esponeva mai il candidato. Per evitare di bruciarlo di fronte all'opinione pubblica. Un'eventuale investigazione che avesse permesso di monitorare l'incontro del candidato con un responsabile di un’articolazione mafiosa, sicuramente avrebbe esposto il candidato stesso. Era questa associazione con i suoi membri a fare gli accordi sotto banco al fine di raccogliere voti per i vari candidati».