Dopo due anni di crescita artificiale alimentata da fondi straordinari, forza lavoro precaria e risorse in esaurimento, la macchina economica russa è in crisi
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Il presidente russo Vladimir Putin
Dalla voce più autorevole dell’economia russa arriva una confessione che non ha bisogno di giri di parole: «Le risorse che hanno sostenuto la crescita in tempo di guerra sono esaurite». A parlare è Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca centrale russa, che al Forum economico internazionale di San Pietroburgo ha offerto alla platea — e indirettamente al Cremlino — un messaggio inequivocabile: la macchina economica russa, drogata da spesa pubblica e riserve speciali, si sta inceppando. Anzi, per usare le parole dell’economista italiano Massimiliano Di Mario, autore del seguitissimo blog “The Bading News of the Russian Economy”, «sta finendo il carburante mentre corre a tutta velocità verso un muro di mattoni».
I dati ufficiali parlano chiaro. Il tasso di disoccupazione è al minimo storico — appena il 2,3% — ma non perché l’economia tiri: semplicemente, milioni di uomini sono stati arruolati o sono emigrati. Il numero stimato di lavoratori mancanti, secondo Mosca stessa, è superiore ai due milioni. La capacità produttiva è all’osso: oltre l’80% delle infrastrutture industriali è già sfruttata, e non ci sono margini per espandersi senza nuovi investimenti, che però non arrivano più. Anzi, il Fondo nazionale di previdenza, uno dei principali strumenti per sostenere bilanci e megaprogetti, è stato quasi svuotato. Le riserve liquide si sono ridotte a 2,8 trilioni di rubli. Quelle in yuan sono crollate al minimo storico: 153 miliardi, rispetto ai livelli pre-guerra. L’oro si è più che dimezzato: da oltre 400 tonnellate a 139,5.
«Il Fondo rischia di prosciugarsi completamente nel 2026», avvertono gli analisti dell’Accademia presidenziale per l’economia (RANEPA). Secondo Di Mario, «è la fine di una stagione, quella in cui il Cremlino riusciva a mascherare il deterioramento strutturale con flussi straordinari: adesso il bluff è finito».
Già nei primi tre mesi del 2025, l’economia ha rallentato vistosamente: il Pil è cresciuto solo dell’1,4%, tre volte meno rispetto al trimestre precedente. La crescita si è fermata, l’economia si contrae per la prima volta dal 2022, e anche i settori civili iniziano a regredire. L’industria arranca, il commercio al dettaglio è crollato: dal +7,2% di dicembre a un magro +2,4% ad aprile. «Stiamo assistendo a una lenta agonia», commenta Di Mario, «non ancora una caduta verticale, ma una discesa irreversibile».
Persino all’interno del governo si moltiplicano le voci dissidenti. Il ministro dello Sviluppo economico Maxim Oreshkin ha parlato apertamente di un’economia «sull’orlo della recessione». Un messaggio che in Russia, dove i ministri non parlano mai senza il placet del Cremlino, suona come una scossa al presidente Putin.
Non è un caso che l’allarme arrivi adesso. La mobilitazione prolungata, la corsa agli armamenti e il drenaggio continuo di risorse verso l’apparato militare iniziano a presentare il conto. «Putin ha drogato l’economia per tenerla in piedi durante la guerra», scrive Di Mario sul suo blog, «ma la droga sta finendo, e gli effetti collaterali si moltiplicano». Le imprese del settore energetico, cuore dell’economia russa, hanno visto crollare gli utili della metà solo a marzo. Non va meglio alle industrie civili, sempre più marginali in una Russia militarizzata, e sempre meno competitive sui mercati internazionali.
Un analista anonimo, citato da Novaya Gazeta Europe, ha riassunto il messaggio implicito dei tecnocrati del blocco economico: «Non possiamo più permetterci la guerra. Le risorse si stanno esaurendo. E non c’è modo di reintegrarle».
Secondo Alexander Kolyandr, ricercatore presso il Center for European Policy Analysis, «l’economia si sta raffreddando e la recessione potrebbe trasformarsi in un collasso». Lo scenario peggiore, spiega, è quello in cui si sommano errori gestionali, crollo dei prezzi del petrolio, inflazione fuori controllo e una nuova ondata di sanzioni. «A quel punto, la Russia entrerebbe in una crisi come quella degli anni ’90, ma senza margini per una ripresa».
È una situazione in cui la geopolitica e la finanza diventano una questione esistenziale per lo Stato russo. «Putin è di fronte a una scelta drammatica», sintetizza Di Mario. «Può continuare a spendere tutto sulla guerra, ma dovrà affrontare una recessione strutturale, migliaia di imprese in bancarotta, e l’erosione totale del consenso interno. Oppure può ridurre la spesa militare, ma questo significherebbe ammettere che l’obiettivo della vittoria totale in Ucraina è ormai irrealistico. In entrambi i casi, la retorica trionfalista non basta più».
Per ora, nessuno a Mosca pronuncia la parola tabù: default. Ma il tempo per evitare la catastrofe si sta assottigliando. E, come scrive Di Mario, «se il Cremlino continuerà a parlare solo il linguaggio della forza, sarà l’economia a gridare più forte. E allora sarà troppo tardi».