Il leader trumpiano posta il servizio Cnn sulla chiesa di Doug Wilson, dove si sostiene che la politica debba essere decisa dagli uomini. Nessuna presa di distanza, solo un motto che sa di approvazione
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Nel 2025, un secolo dopo che il suffragio femminile è diventato legge federale negli Stati Uniti, c’è ancora chi vorrebbe riportare le lancette della storia indietro di cento anni. Non si tratta di un oscuro blogger in cerca di visibilità, ma del capo del Pentagono. Pete Hegseth, volto noto della destra ultraconservatrice americana, ha condiviso sui propri canali social un video dedicato a una chiesa nazionalista cristiana, in cui diversi pastori dichiarano apertamente che alle donne non dovrebbe più essere consentito di votare.
Il filmato, firmato dalla Cnn, è un’inchiesta sulla comunità guidata da Doug Wilson, fondatore della Comunione delle Chiese Evangeliche Riformate. Nelle interviste, alcuni pastori spiegano il loro “modello ideale”: niente più voto individuale, ma un’unica scheda per nucleo familiare, compilata dall’uomo di casa. Le donne? Destinate a tornare silenziose spettatrici della vita politica.
Non è solo la posizione della chiesa di Wilson a inquietare, ma il fatto che Hegseth abbia rilanciato il video senza una parola di dissenso. Anzi, accompagnandolo con lo slogan “Tutto Cristo per tutta la vita”. In un contesto simile, quelle parole suonano come un sigillo di approvazione, non come una critica. Nessun “non condivido”, nessun “queste affermazioni non mi rappresentano”: solo la condivisione nuda e cruda di un’idea che, di fatto, cancella diritti conquistati con decenni di lotte.
Questa chiesa ultracristiana non è nuova a derive autoritarie: sermoni che esaltano la sottomissione femminile, visioni patriarcali in cui la famiglia è guidata da un solo “capo” maschio, un intreccio costante tra predicazione religiosa e agenda politica. È il fondamentalismo in salsa americana: confezionato con citazioni bibliche, venduto come tradizione, ma intriso di un’ossessione per il controllo sociale.
Che a rilanciare tutto ciò sia il vertice del Pentagono non è un dettaglio di colore, ma un segnale pesante. Parliamo dell’uomo che, teoricamente, incarna uno dei massimi baluardi della democrazia americana, mentre amplifica il messaggio di chi vorrebbe smantellare i diritti di metà della popolazione. Un paradosso che, se non fosse reale, sembrerebbe la trama di una distopia politica.
Il suffragio femminile negli Stati Uniti è stato sancito nel 1920 dal XIX emendamento, dopo un secolo di campagne, arresti, marce e sacrifici personali di donne che si sono battute per essere riconosciute come cittadine a pieno titolo. Trattarlo oggi come un capriccio storico da cancellare non è “opinione religiosa”: è revisionismo pericoloso, è nostalgia di un ordine sociale in cui le donne erano ridotte al silenzio, mentre le decisioni che le riguardavano venivano prese da altri.
E non si tratta solo di un dibattito interno alle chiese fondamentaliste. L’eco di queste dichiarazioni, amplificata dai social e avallata da figure istituzionali, rischia di alimentare un clima in cui i diritti conquistati non sono più considerati intoccabili. Già oggi, negli Stati Uniti, la Corte Suprema ha riaperto ferite con sentenze che restringono la libertà di scelta delle donne in materia di aborto. In questo contesto, il rilancio del “no vote” femminile non è una boutade: è un tassello di una strategia culturale che punta a riportare indietro l’orologio dei diritti civili.
Che il comandante in capo delle forze armate creda opportuno dare spazio a queste idee è un problema politico, etico e simbolico. Perché, volente o nolente, un like, una condivisione, un motto postato senza filtro valgono quanto una presa di posizione ufficiale. E qui la posizione è chiara: il messaggio è arrivato, e suona sinistramente familiare a chi conosce la storia delle discriminazioni.