Il parallelo con il Cavaliere è inevitabile: anche lui scelse la stessa via per chiudere la sua vicenda giudiziaria. L’erede Agnelli punta a estinguere il reato con un periodo di attività non retribuita
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Non un’aula di tribunale, ma una casa salesiana. Non un verdetto con condanna, ma un programma di lavori socialmente utili. La via scelta da John Elkann per chiudere il capitolo più delicato della sua vicenda giudiziaria è quella della messa alla prova, l’istituto previsto dal 2014 per chi è incensurato e decide di sostituire il processo con attività a favore della collettività.
Per il presidente di Stellantis la prospettiva è concreta: dieci mesi di servizi sociali da svolgere in un’istituzione salesiana, con attività che vanno dall’assistenza a persone fragili al supporto in enti del terzo settore. Nessuna retribuzione, solo lavoro. Nel frattempo il procedimento penale sarà sospeso: se alla fine il giudice valuterà positivamente il percorso, i reati contestati si estingueranno e non resterà traccia nel casellario giudiziale.
Il paragone che rimbalza in queste ore è inevitabile: Silvio Berlusconi, dopo la condanna definitiva per frode fiscale, scontò la sua pena con un anno di volontariato presso una struttura per anziani a Cesano Boscone. Una scelta che segnò l’ultimo tratto della sua parabola politica e che oggi sembra ripetersi per il nipote dell’Avvocato.
Gli avvocati di Elkann, guidati da Paolo Siniscalchi, si affrettano a precisare: «La richiesta di messa alla prova non comporta alcuna ammissione di responsabilità», sottolineano, ricordando l’accordo già raggiunto con l’Agenzia delle Entrate, con il versamento di 183 milioni di euro tra imposte e sanzioni. Un passo che, spiegano i legali, ha “definito complessivamente” la controversia tributaria.
Ma non tutti la pensano così. L’avvocato Dario Trevisan, che difende Margherita Agnelli, madre di John, Lapo e Ginevra, ribalta la lettura: «Queste iniziative comportano una inequivocabile ammissione di responsabilità. Elkann e Gianluca Ferrero agiscono nella consapevolezza di non poter ottenere un’assoluzione». Per la figlia dell’Avvocato, da anni in lotta legale con i figli, la vicenda conferma la gravità delle condotte contestate e pesa come un macigno sulle cause civili in corso, sia a Torino sia a Ginevra.
Il cuore della battaglia è la successione del 2004, quando Margherita rinunciò alle sue pretese ereditarie in cambio di 1,3 miliardi di euro tra immobili, opere d’arte e liquidità. Un accordo che lei oggi contesta, sostenendo di essere stata tenuta all’oscuro dei patrimoni esteri di Marella Caracciolo e di Gianni Agnelli, a partire dai trust alle Bahamas e dai conti cifrati che la Guardia di Finanza ha ricostruito per oltre 700 milioni.
Il giudice civile di Torino ha già ammesso nel procedimento le carte dell’inchiesta penale, un punto a favore della battaglia di Margherita. Per questo, mentre i legali di Elkann cercano di chiudere la partita sul fronte penale, il contenzioso civile resta un terreno minato.
Intanto, a Torino, la procura mette nero su bianco i contorni della vicenda. «Redditi non dichiarati per 248 milioni di euro e una massa ereditaria non sottoposta a tassazione per circa un miliardo», hanno scritto i pm. Cifre che hanno spinto a ritenere fittizia la residenza svizzera di Marella Caracciolo e che hanno costretto gli Elkann a correre ai ripari, versando all’erario quanto dovuto.
La messa alla prova diventa quindi una scelta di strategia, più che un gesto di pentimento. Un modo per evitare un processo lungo e mediaticamente esplosivo, con rischi di condanna che avrebbero pesato non solo sull’immagine personale ma anche su quella di Stellantis e di Exor, la holding di famiglia quotata in Olanda.
Resta da vedere quale sarà il contenuto concreto del programma. I salesiani, contattati dal Corriere, hanno preferito non commentare. Ma se l’ipotesi sarà confermata, Elkann si troverà a trascorrere mesi di lavoro gomito a gomito con volontari e operatori sociali, a distanza siderale dai board internazionali e dai vertici delle case automobilistiche.
Un passaggio obbligato per chiudere un contenzioso che si trascina da anni, ma che non cancella le ombre della battaglia civile. Perché il futuro della cassaforte Dicembre, la società che controlla Exor e quindi l’impero Agnelli-Elkann, resta sospeso sull’esito dei tribunali.
Come già accadde a Berlusconi, anche per Elkann il messaggio è chiaro: si può piegare la giustizia con un accordo, si può chiudere il fronte penale con i servizi sociali. Ma il verdetto della storia e della famiglia, quello no, non si estingue con la firma di un giudice.