La lingua italiana cambia, si contamina, si piega all’inglese. È il destino registrato anche quest’anno dallo Zingarelli 2026, che ha aperto le porte a un’ondata di neologismi nati nel mondo digitale, dei social e del lavoro globalizzato. Non solo “retrogaming” o “gaslighting”, termini entrati ormai nel linguaggio comune, ma anche “brekkare”, “flexare”, “ghostare”, “tokenizzare”, “whatsappare” e “skillato”: parole che per il lessicografo Stefano Bartezzaghi «sembrano manifestare la loro natura di mostriciattoli artificiali».

Lo Zingarelli, d’altra parte, riflette la lingua di tutti i giorni, quella che si parla in rete, in tv e nei corridoi delle aziende. Se vent’anni fa erano i tecnicismi scientifici a imporsi — come “fotocoagulazione” o “bioinvasione” — oggi sono i forestierismi digitali a dominare. E non è più una questione di moda: è sopravvivenza comunicativa.

Il dizionario registra parole che circolano da tempo ma solo ora entrano “ufficialmente” nel lessico italiano, dopo un periodo di quarantena. Così “retrogaming”, l’hobby di giocare ai vecchi videogiochi, compare a più di vent’anni dalla sua nascita; “quadricottero”, sinonimo di drone, vola dal linguaggio tecnico a quello quotidiano; “gaslighting” e “gatekeeping” diventano voci riconosciute, con buona pace dei puristi che storcono il naso.

Bartezzaghi ironizza: «Quest’anno abbiamo “breccare”, con la pittoresca variante “brekkare”, “flexare”, “ghostare”, “skillato”, “tokenizzare” e “whatsappare”: parole che a scriverle sembrano uscire da un laboratorio di fantalinguistica». Eppure l’italiano le ha accolte, le usa, le mastica ogni giorno. Il verbo “ghostare”, sparire da una relazione senza spiegazioni, o “mansplaining”, spiegare con condiscendenza a una donna qualcosa che già sa, sono ormai familiari anche a chi non vive sui social.

Accanto all’inglese spadroneggiano nuovi termini “ibridi”, costruiti con materiali italiani ma spirito internettiano. “Culturalizzare”, “turistificare”, “eventificio”, “rinazionalizzare”: parole che suonano più come bolle burocratiche che come invenzioni poetiche, ma che descrivono con precisione il nostro tempo.

E se “perculare” trova finalmente dignità accademica, è perché, come osservano i linguisti, «non esiste un sinonimo efficace». “Schernire” ha perso mordente, “prendere in giro” è troppo blando. Così il verbo gergale, popolare e diretto, entra a pieno titolo nella lingua italiana.

Ci sono poi termini nati per fotografare nuovi comportamenti sociali. “Amichettismo”, parola fresca e velenosa, indica il sistema di favori e relazioni informali tra conoscenti. È il simbolo di un Paese dove la rete di amicizie vale spesso più del merito. In parallelo, arrivano “bromance” e “omosociale”, neologismi che descrivono l’amicizia stretta tra uomini, priva di implicazioni sentimentali, mentre il classico “amicizia” sembra ormai troppo semplice.

Non mancano le novità scientifiche, dai tecnicismi come “evapotraspirazione” e “fotocoagulazione” fino a “aporofobia”, la paura dei poveri, e “bioinvasione”, diffusione incontrollata di specie animali o vegetali in nuovi habitat. Anche il prefisso “eco” continua a dilagare: “ecocompattatore” ne è l’esempio perfetto, parola nata per rendere virtuoso persino un contenitore per rifiuti.

Infine, il dizionario registra anche il linguaggio della rete più popolare: “pezzotto”, nato a Napoli per indicare il decoder illegale della pay tv, “friccicarello”, “riciclone” e “scavetto”, insieme a una lunga lista di espressioni che raccontano il nuovo dialetto nazionale: quello dei social, dei talk show, dei bar digitali dove tutti parlano, scrivono e inventano.

L’italiano che emerge dallo Zingarelli 2026 è una lingua vivace ma anche scomposta, contaminata, piena di inglesismi e neologismi effimeri. I puristi parlano di “resa culturale”, i linguisti di “evoluzione inevitabile”. E se è vero che la lingua cambia con chi la parla, allora il futuro dell’italiano sarà un patchwork di parole ibride, un po’ Shakespeare e un po’ social.

Del resto, come direbbe un influencer: “L’italiano 2.0 è già live. E disinstallarlo non si può”.