C’era una volta Domenica In, il programma più coccolato della Rai, il fortino dorato dove nulla cambiava mai. E c’è ancora. Solo che adesso non vuole più salirci nessuno. O meglio: nessuno vuole farlo con Mara Venier. E non perché non funzioni – gli ascolti parlano chiaro – ma forse proprio perché funziona troppo... solo con lei.

Siamo a luglio 2025. Meno di un mese fa, durante la presentazione in pompa magna dei palinsesti Rai, il direttore dell’Intrattenimento Day Time Angelo Mellone aveva annunciato il colpaccio: la nuova Domenica In sarà a due voci. Da una parte, ovviamente, la storica conduttrice, zia Mara. Dall’altra Gabriele Corsi, il volto brillante di Reazione a Catena, l’uomo che sapeva essere pop senza diventare banale, ironico ma rassicurante, smart ma mai radical chic.

Sembrava fatta. E invece era una frittata pronta a esplodere.

Perché oggi, a distanza di poche settimane, la Rai si ritrova con un buco grande così. Corsi, con eleganza ma fermezza, ha ringraziato tutti e salutato. In un comunicato diplomatico, l’Azienda lo congeda elogiando la «disponibilità umana e professionale» e promettendo «nuove collaborazioni future». Tradotto dal Rai-burocratese: la coppia non si fa più.

Ma non è finita. Perché il nome di Corsi era già il piano B, dopo che Nek, il primo prescelto, aveva declinato l’offerta ancora prima della conferenza stampa. Ufficialmente non si è mai saputo nulla, ma gli addetti ai lavori parlano chiaro: anche lui si è sfilato con la classica formula del “ci penserò” che si traduce in un no educato.

E allora, viene da chiedersi: che succede in casa Rai?

Succede che Domenica In è diventata una creatura talmente identificata con Mara Venier che chiunque provi ad affiancarla rischia di restare solo un’ombra sul fondale. Lo sanno in molti, lo ammettono in pochi. Mara è una macchina da guerra televisiva. Entra, parla, si commuove, si sbaglia, abbraccia, si infuria, interrompe, canta, saluta, dimentica, ride. Fa tutto. E tutto il pubblico guarda solo lei.

Stare accanto a una figura del genere significa non esistere più. O peggio, finire triturati. Perché Mara, con quella veracità romana e quella fama da zia nazionale, è amatissima. Ma dietro le quinte non è esattamente la fata turchina che compare in video. Comanda. Decide. Si impunta. E soprattutto non molla mai il centro della scena.

A detta di chi ci ha lavorato – e di chi ci ha provato – l’esperienza può essere estenuante. «Ti siedi accanto a lei e capisci che non hai niente da dire«, ha detto una volta, sotto anonimato, un ex autore della trasmissione. «Perché qualsiasi cosa dici, lei l’ha già fatta più grande. E se non la interrompi, non riesci neanche a finire la frase».

Gabriele Corsi, abituato a giocare con il pubblico ma anche a gestire tempi precisi, forse ha fatto due conti e ha deciso che era meglio declinare. Nek, idem. E allora chi resta?

La Rai adesso naviga a vista. L’opzione “sola al comando” è sempre valida, anzi: è la più probabile. Anche l’anno scorso, dopo mille ipotesi di cambiamento, alla fine ha vinto la linea più semplice: lascia tutto com’è. Ma è proprio questo il punto. Se un colosso del palinsesto come Domenica In non riesce più a rinnovarsi, a trovare un nuovo volto, una spalla degna di questo nome, allora forse la vera domanda da farsi non è chi affiancherà Mara, ma fin quando potrà farlo lei.

Siamo alla 50ª edizione, e il programma si regge ormai tutto sulle spalle – e sull’umore – della sua regina. Una regina che, va detto, più volte ha parlato di voler lasciare, salvo poi tornare sempre. Ma ogni ritorno costa. E ogni stagione è più faticosa della precedente.

La verità è che la Rai non ha un piano B. E quando prova a costruirne uno, succede quel che vediamo ora: si sfaldano i cast, si fanno figuracce, si buttano via idee prima ancora di metterle in onda. Forse perché zia Mara è davvero inimitabile. O forse perché nessuno ha il coraggio di dirle: «Grazie, ora passiamo il testimone».

E così si va avanti. Con la solita sigla, le solite gaffe, i soliti pianti in diretta. E un posto libero accanto a Mara Venier. Un posto che, ormai, nessuno vuole più occupare.