Benjamin Netanyahu non governa: si aggrappa al potere con la disperazione di chi ha seminato morte e non ha più nulla da perdere. Sopravvive ai processi, alle accuse, al crollo della fiducia, ma nel farlo trascina Israele in un abisso senza ritorno. Gaza, sotto il suo potere è ormai un immenso cimitero, un mattatoio a cielo aperto dove l’orrore è quotidiano e la vita umana non vale più nulla.

Netanyahu incarna oggi la deriva di un leader spietato e senza limiti. La guerra, per lui, non è difesa né strategia: è puro calcolo di sopravvivenza, l’unico scopo del suo governo ormai del tutto in mano all’estremismo dei fondamentalisti della peggiore destra religiosa. Il sangue versato non lo scuote, è solo il prezzo da pagare pur di restare al potere.

La sua arroganza ha spaccato Israele: una parte enorme del popolo lo rifiuta, lo accusa di aver condannato il Paese a un odio eterno, di averne isolato la voce e sporcato di sangue il suo futuro. Persino l’esercito, in più occasioni, ha espresso dubbi e contrarietà al proseguimento delle operazioni militari fino alla distruzione totale di Gaza City: un segnale drammatico che il premier ignora, restando cieco e sordo, incatenato al suo destino di odio e rovina.

E mentre Donald Trump lo sostiene e lo copre, si parla persino di un suo progetto mostruoso: trasformare Gaza in una “Riviera” sulle macerie, deportando due milioni di palestinesi per costruire un paradiso artificiale per ricchi annoiati, come se la sofferenza potesse essere cancellata a colpi di cemento e capitali. Un incubo travestito da piano di pace che per 10 anni sarà in mano agli americani.

Netanyahu non è il difensore di Israele. È il suo peggior nemico. Ha reso il suo popolo più fragile, più odiato, più solo. E mentre Gaza brucia sotto le bombe, Israele brucia sotto il peso di un leader senza scrupoli, fuori da ogni ragione e da ogni umanità.