Il Tribunale smonta l’impianto accusatorio della Procura di Milano: «Gli atti non dimostrano la sussistenza di un accordo corruttivo». Revocati gli arresti per il Ceo di Coima
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L’inchiesta sulla cosiddetta Palazzopoli milanese, che aveva scosso Palazzo Marino e travolto alcuni dei protagonisti dell’urbanistica cittadina, comincia a perdere pezzi. Il Tribunale del Riesame ha infatti demolito una parte centrale del teorema accusatorio formulato dalla Procura di Milano, stabilendo che «gli atti non hanno dimostrato la sussistenza di un accordo corruttivo» tra Manfredi Catella, amministratore delegato di Coima, e Alessandro Scandurra, architetto e membro della Commissione Paesaggio del Comune di Milano.
Il provvedimento, depositato il 23 agosto e firmato dal collegio presieduto dal giudice Buratti, ha annullato gli arresti domiciliari disposti a luglio dal gip Mattia Fiorentini nei confronti di Catella, che era stato accusato di corruzione in relazione al progetto di riqualificazione del cosiddetto Pirellino.
Nel dispositivo, i giudici scrivono con chiarezza: «Le risultanze in atti non hanno dimostrato che tra Scandurra e Catella si sia formato e fosse operativo, nel corso dei mandati dell’architetto in Commissione (2019-2021 e 2021-2024), un accordo i cui termini implicassero un pregiudizievole esercizio in favore del privato Catella dei poteri attribuiti al pubblico ufficiale beneficiato tramite incarichi di progettazione».
In sostanza, i magistrati del Riesame non hanno riscontrato elementi concreti di uno scambio illecito tra il costruttore e il professionista pubblico. Gli incarichi affidati allo studio Scandurra da Coima, sostengono, sono «remunerazioni lecite», giustificate da un reale rapporto di lavoro professionale. «Non vi è traccia di sovrafatturazioni o di fatture false», aggiunge il provvedimento, che precisa come «non sussistano evidenze concrete sulla base delle quali ritenere che gli incarichi siano stati affidati in ragione della funzione pubblica e non per la qualità del lavoro svolto».
Il tribunale va oltre, criticando il metodo logico dell’impianto accusatorio costruito dal gip. «Non pare adeguatamente ricercata la genesi del patto corruttivo ritenuto dal giudice per le indagini preliminari, che ha seguito un percorso inverso: non ha proceduto all’accertamento preliminare del patto corruttivo, per poi derivare da tali elementi la vendita della funzione pubblica e l’atto contrario ai doveri d’ufficio, ma ha ritenuto automaticamente configurato l’accordo illecito a partire dall’esistenza di un rapporto economico».
In altre parole, il gip avrebbe dedotto la corruzione dal solo fatto che esistessero pagamenti, senza dimostrare il nesso funzionale tra compensi e vantaggi. «Il rapporto economico diviene automaticamente prova del dovere di astensione, e la sua violazione diventa prova del patto illecito», osservano i giudici con tono critico.
Secondo il Riesame, «in nessuno dei messaggi rinvenuti e trascritti scambiati tra i soggetti coinvolti nella vicenda, ivi compreso Catella, si coglie alcun riferimento all’esistenza di un patto corruttivo». Né vi sarebbero, aggiungono, «sollecitazioni da parte dei privati affinché Scandurra si adoperasse positivamente coltivando l’interesse di Coima».
È un passaggio decisivo, che mette in discussione l’intera ricostruzione accusatoria su cui si fondava la misura cautelare. Per i giudici, la Procura non ha dimostrato che il ruolo pubblico di Scandurra – architetto di fama, autore di progetti riconosciuti anche all’estero – sia stato piegato a vantaggio di Catella.
La vicenda ruota intorno al progetto di recupero dell’ex sede regionale del Pirellino, uno degli snodi più delicati della Milano che cresce tra Porta Nuova e la zona est. Coima, società di investimento immobiliare fondata da Catella, è da anni uno dei principali player dello sviluppo urbano milanese, protagonista di interventi di rigenerazione come Porta Nuova, Gioia 22 e Viale Melchiorre Gioia.
Quando a fine luglio era arrivata la notizia degli arresti, l’impatto politico ed economico era stato immediato: un simbolo dell’imprenditoria milanese finiva nel mirino delle toghe, e l’inchiesta era stata presentata come il tassello più importante del mosaico su presunti intrecci opachi tra pubblico e privato.
Oggi, con le motivazioni depositate, l’impianto comincia a cedere. Il collegio del Riesame riconosce la complessità dei rapporti tra professionisti e imprese in ambito urbanistico, ma avverte: «La mera coincidenza temporale tra incarichi e attività istituzionale non può costituire, da sola, elemento probante di un accordo corruttivo». La decisione segna una svolta nella cosiddetta Palazzopoli, l’indagine che aveva lambito diversi nomi noti dell’architettura e dell’imprenditoria lombarda. Resta in piedi il procedimento, ma il cuore dell’accusa — l’ipotizzato patto corruttivo — è stato svuotato. Manfredi Catella, all’indomani della revoca dei domiciliari, aveva mantenuto il silenzio. Il suo legale aveva parlato di «fiducia nella magistratura» e di «una decisione che restituisce equilibrio e misura».
Ora la parola torna alla Procura di Milano, chiamata a decidere se proseguire le indagini o prendere atto del giudizio dei colleghi del Riesame. Per il momento, resta la sensazione che il caso simbolo della nuova Tangentopoli urbanistica sia molto meno solido di quanto era sembrato all’inizio.