Il prezzo del petrolio Urals, la principale fonte di entrate fiscali della Russia, è crollato sotto i 4.000 rubli al barile per la prima volta in due anni. Si tratta di un tracollo del 41% rispetto alla soglia su cui si basa il bilancio statale per il 2025. A certificare la débâcle è Reuters, che calcola come il dato di maggio segni un punto di svolta critico per l’economia del Cremlino.

La crisi non è solo contabile: il calo del prezzo medio del barile, unito al rafforzamento del rublo, sta riducendo drasticamente il gettito fiscale derivante dalle esportazioni energetiche. Il governo ha già rivisto le stime al ribasso: le entrate previste dalla vendita di petrolio e gas saranno inferiori di 2,6 trilioni di rubli, pari a una riduzione del 24%. Le risorse energetiche dovrebbero fruttare appena 8,32 trilioni di rubli, contro i 10,9 inizialmente previsti.

Il crollo delle entrate

La prima vittima del crollo delle entrate sarà la spesa pubblica. Il Cremlino potrebbe essere costretto a tagliare o congelare investimenti infrastrutturali, sussidi statali e spese sociali, proprio mentre l’inflazione resta elevata e il potere d’acquisto dei cittadini è in calo. Settori strategici come istruzione, sanità e pensioni potrebbero subire contrazioni, con un impatto diretto sulla qualità della vita.

Nel frattempo, il rafforzamento del rublo – causato in parte da controlli sui capitali e da un calo delle importazioni – potrebbe penalizzare le esportazioni non energetiche, rendendo più difficile per l’industria russa trovare sbocchi sui mercati esteri.

Un calo prolungato delle entrate statali potrebbe spingere molte aziende a tagliare personale o ritardare il pagamento dei salari. I settori pubblici e para-pubblici, che in molte regioni rappresentano il principale datore di lavoro, sono particolarmente esposti. Il rischio di una crescente disoccupazione, unito al deterioramento delle condizioni di vita, potrebbe alimentare il malcontento sociale in un contesto già segnato da sanzioni, isolamento economico e pressione militare.

La Russia a un bivio

La Russia si trova ora a un bivio. Il primo scenario, quello più probabile nel breve termine, è un ulteriore irrigidimento del controllo economico da parte del Cremlino, con tagli selettivi, aumento delle imposte indirette e maggiore ricorso al Fondo di Ricchezza Nazionale. Tuttavia, questa strategia ha limiti strutturali: le riserve non sono infinite, e il debito pubblico, sebbene ancora basso in termini relativi, rischia di crescere rapidamente. Nel medio periodo, Mosca potrebbe essere spinta a intensificare i rapporti con paesi considerati “amici”, come Cina, India e Turchia, nel tentativo di vendere petrolio fuori dai circuiti occidentali e arginare le perdite fiscali. Ma questi mercati, già saturi e attenti ai propri interessi, offrono margini ridotti.

Sul piano geopolitico, l’indebolimento delle finanze russe potrebbe avere ripercussioni sulla sua capacità di proiezione militare e sull’influenza in regioni chiave come l’Ucraina, il Caucaso o l’Africa. Al tempo stesso, gli avversari del Cremlino – Europa e Stati Uniti in primis – potrebbero vedere in questa crisi un’opportunità per rafforzare la pressione diplomatica e militare, approfittando della fragilità economica russa.

Infine, lo scenario più instabile riguarda l’eventualità che la crisi fiscale si trasformi in crisi politica: un’erosione del consenso interno e un aumento delle tensioni sociali potrebbero minare la tenuta del sistema di potere centralizzato, aprendo una fase di incertezza dagli esiti imprevedibili.