Una nuova minaccia si è accesa con l’analisi pubblicata da Nona Mikhelidze su Il Foglio dell’11 settembre 2025, con il titolo: “Putin vuole altra guerra”.

La tesi, condivisa da molti osservatori internazionali, è chiara: Vladimir Putin, a quasi quattro anni dall’invasione dell’Ucraina, non ha raggiunto nessuno degli obiettivi militari e politici che si era dato. Non ha conquistato Kiev, non ha spezzato la resistenza ucraina, non ha diviso l’Europa e la Nato. Eppure, nonostante i fallimenti, il presidente russo non sembra disposto a fermarsi: anzi, valuta l’ipotesi di allargare il conflitto oltre i confini ucraini.

Dietro l’escalation militare voluta dal Cremlino con l’attacco dimostrativo alla Polonia, si nasconde una verità scomoda per la Russia: Putin non ha nulla da presentare come “vittoria”. Quella che doveva essere una rapida “operazione speciale” si è trasformata in una lunga e dolorosa guerra di logoramento. L’esercito russo ha subito perdite enormi, l’economia russa è stata colpita duramente dalle sanzioni e dagli attacchi ucraini alle infrastrutture energetiche, il prestigio internazionale è fortemente compromesso. L’abbraccio mortale con la Cina costerà molto a Putin.

Come scrive Nona Mikhelidze su Il Foglio dell’11 settembre, Mosca starebbe testando la tenuta della Nato, non con un attacco diretto ma con provocazioni lungo i confini orientali: nei Paesi baltici, in Polonia, e persino con manovre simboliche in Alaska, dove nei giorni scorsi Putin ha incontrato Donald Trump. L’obiettivo: mostrare che l’Occidente non è pronto a difendersi e che l’America di Trump, tornato alla Casa Bianca, non intende impegnarsi in un nuovo conflitto europeo.

Il rischio è evidente: se l’Ucraina venisse abbandonata al suo destino, Putin non si fermerebbe. La sua ossessione per la “Grande Russia” lo spinge a guardare oltre, fino a immaginare una riscrittura dei confini dell’Europa.

I dati più recenti confermano il fallimento strategico russo. Secondo Le Grand Continent, la Russia avrebbe perso oltre un milione di uomini tra morti e feriti dall’inizio dell’invasione. Le perdite ucraine, nello stesso periodo, ammonterebbero a circa 400.000 tra morti, feriti, dispersi e prigionieri.

Sul piano economico, il Cremlino ha speso nel solo 2024 oltre 15 miliardi di dollari in indennizzi e compensazioni per le famiglie dei caduti e per incentivare il reclutamento. La spesa militare complessiva europea, nello stesso anno, è cresciuta del 17%, raggiungendo i 346 miliardi di euro.

Il paradosso è chiaro: la Russia continua a sacrificare uomini e risorse senza riuscire a ribaltare la situazione strategica, mentre l’Occidente ha rafforzato la sua compattezza, accogliendo nuovi membri come Finlandia e Svezia all’interno della Nato.

In questo quadro, l’Europa deve decidere se fermare Putin o permettere che allarghi il conflitto. Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella risuonano come un avvertimento: non si può chiudere gli occhi di fronte a chi aggredisce uno Stato sovrano.

Il vero banco di prova sarà la capacità di mantenere un fronte unito, nonostante le difficoltà economiche e politiche interne. Ogni esitazione verrebbe interpretata dal Cremlino come un segnale di debolezza, incoraggiando nuove avventure militari.

Putin, stretto tra fallimenti militari e crisi economica interna, gioca ora la carta più pericolosa: trasformare una sconfitta parziale in una guerra totale. L’Occidente deve decidere se contenerlo, rafforzando la difesa comune e sostenendo l’Ucraina, o se accettare il rischio di un conflitto che travalichi i confini europei.

La posta in gioco non riguarda solo Kiev, ma il futuro dell’Europa e la tenuta dell’ordine internazionale. Permettere a Putin di ottenere anche solo un successo apparente significherebbe consegnargli un nuovo margine di aggressione. Fermarlo oggi è difficile e costoso; fermarlo domani potrebbe essere impossibile.