La Cassazione riporta la quiete al centro dei diritti fondamentali e lo fa con una sentenza destinata a riflettersi su migliaia di cortili, villette, condomìni e case di campagna. Chi lascia abbaiare il proprio cane oltre la soglia della tollerabilità rischia non solo un richiamo o un intervento della polizia locale, ma un vero risarcimento economico. E a volte anche molto salato. La Suprema Corte, terza sezione civile, ha confermato che quando il latrato diventa un rumore costante e impedisce il riposo, il proprietario dell’animale è responsabile e tenuto a risarcire, anche in assenza di un danno alla salute certificato. Un cambio di prospettiva significativo: non si guarda più solo alle conseguenze mediche, ma all’impatto diretto sulla vita quotidiana.

Il caso riguarda una famiglia che vive in provincia di Ancona e che nel 2013 ha deciso di rivolgersi al tribunale dopo anni di convivenza forzata con quattro cani dei vicini che abbaiavano a orari imprevedibili, di giorno e di notte. In aula sono finite registrazioni audio che documentavano i disturbi nelle ore di riposo, testimonianze di residenti e perfino rilievi fonometrici, tutti elementi che hanno convinto i giudici che quel rumore fosse davvero superiore alla normale sopportazione. Non si trattava di un’occasione sporadica: il disturbo era reiterato, concreto e tale da trasformare la quotidianità dei vicini in un piccolo calvario domestico.

Il tribunale di primo grado aveva dato ragione ai denuncianti. In appello, la condanna è stata confermata: 3mila euro di risarcimento per ogni componente della famiglia disturbata, cinque in tutto, per un totale di 15mila euro. Una cifra già significativa, ma ridimensionata rispetto ai 16mila euro a testa richiesti inizialmente, motivati dal fatto che i disagi duravano da cinque anni. I proprietari dei cani avevano deciso di non arrendersi e si erano rivolti alla Cassazione sostenendo che mancasse la prova di un danno alla salute, elemento che ritenevano indispensabile per giustificare qualsiasi forma di risarcimento.

Un argomento che però non ha convinto gli Ermellini. Nella sentenza, la Corte ha chiarito che il diritto al riposo è autonomo rispetto al diritto alla salute e che violarlo costituisce un danno risarcibile. Non serve dimostrare ansia, insonnia cronica o disturbi psicosomatici: basta la compromissione oggettiva della vivibilità dell’abitazione. In altre parole, se il rumore di un cane impedisce il riposo, disturba il sonno, altera il clima familiare o crea un disagio evidente, il danno esiste già di per sé, senza bisogno di referti medici. È un principio che amplia la tutela e che sposta il conflitto dal campo sanitario a quello più immediato del benessere quotidiano.

Nella loro difesa, i proprietari degli animali avevano sostenuto che anche la famiglia denunciante possedesse un cane di grossa taglia e che in zona fossero molti i residenti con animali rumorosi. Ma la Cassazione ha considerato irrilevante questo dettaglio, ricordando che l’obbligo di vigilare sui propri animali è personale e non si attenua in base alle abitudini altrui. La Corte ha inoltre stabilito che il disturbo lamentato fosse effettivo e ben documentato. Una conclusione che trasforma questa vicenda in un precedente forte, perché dimostra che non servono conflitti esasperati per ottenere tutela, ma prove concrete di un deterioramento della vita domestica.

A rendere la condanna ancora più pesante sono le spese legali. I proprietari dei cani, avendo perso anche in Cassazione, dovranno pagare non solo i 15mila euro di risarcimento ma anche le spese del ricorso, che secondo una stima complessiva sfiorano i 50mila euro. Una cifra enorme se si pensa che l’intera vicenda nasce da un problema di vicinato che avrebbe potuto risolversi molto prima con una maggiore attenzione agli animali e ai loro effetti sull’ambiente circostante.

La sentenza chiude una battaglia giudiziaria durata oltre dieci anni e apre un fronte nuovo per i rapporti tra vicini. Il messaggio della Cassazione è semplice e netto: il rumore eccessivo dei cani non è un fastidio da sopportare per dovere di buon vicinato, ma un’invasione dei diritti altrui. E chi non interviene rischia di pagare un prezzo molto più alto di quello di qualche abbaiata fuori orario.