Le immagini che arrivano da Los Angeles e da altre città americane, strade incendiate, arresti sommari, proteste represse con la forza, sono più di un episodio isolato. Rappresentano un sintomo. Un segnale allarmante di un sistema che sta perdendo il controllo non solo della piazza, ma dei propri principi fondanti.

Gli Stati Uniti, oggi, non sono semplicemente una nazione in crisi. Sono il punto d’innesco di uno scontro globale tra autoritarismo e stato di diritto, tra potere assoluto e democrazia liberale. Uno scontro che potrebbe travolgere anche l’Europa, se non si è capaci di leggerne le dinamiche profonde.

Trump e la strategia del caos

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, nel gennaio 2025, ha segnato una svolta brutale nella politica americana. In soli cinque mesi, l’amministrazione ha riscritto le regole del gioco con una sequenza incessante di decreti esecutivi, spesso ai limiti della legalità, puntualmente contestati dai giudici federali. Ma per Trump, ogni ostacolo è un’opportunità. Ogni freno democratico è un nemico da abbattere. E il caos non è un effetto collaterale: è un obiettivo politico.

L’invocazione di uno “stato d’emergenza permanente” – ventilata più volte da membri del suo entourage – non è fantapolitica. È una possibilità concreta, che si rafforza ogni giorno che passa. Trump ha bisogno del disordine per giustificare la repressione. Ha bisogno della paura per chiedere pieni poteri. Le tensioni razziali, le proteste sociali, l’immigrazione irregolare vengono sfruttate come micce in un’esplosione programmata.

L’ICE come braccio armato della repressione

Uno degli strumenti principali di questa strategia è l’ICE, l’agenzia per l’immigrazione e le dogane, che sotto il nuovo mandato ha acquisito un ruolo sempre più simile a quello di una milizia federale. Blitz nei luoghi di lavoro, arresti nei supermercati, madri strappate ai figli davanti alle scuole. Non si tratta più di operazioni di controllo, ma di messaggi politici. Di azioni dimostrative. Di veri e propri atti intimidatori verso chi è percepito come “non americano”.

In rete, i video degli arresti vengono celebrati dalla base trumpiana con toni trionfalistici. La retorica è quella della “riconquista dell’ordine”, della “difesa della patria”. Ma sotto questa superficie c’è il volto brutale di un’America che ha smesso di riconoscere il valore universale dei diritti umani.

Il contesto economico rende la situazione ancora più esplosiva. La guerra dei dazi, rilanciata senza alcuna concertazione con gli alleati, ha indebolito la competitività statunitense e fatto schizzare i prezzi al consumo. L’inflazione è tornata a livelli preoccupanti. La Federal Reserve è in un vicolo cieco, mentre i mercati iniziano a scontare l’instabilità politica.

Trump non ha mantenuto le promesse sul rilancio industriale, e la delusione si fa strada anche tra gli elettori più fedeli. Di fronte all’insoddisfazione, il presidente reagisce con la strategia del capro espiatorio: i migranti, i giudici, le città “democratiche”, la stampa, le ONG. Il rischio è che la frustrazione si trasformi in violenza istituzionalizzata.

Lo spettro della militarizzazione

Lo scenario più temuto è già all’orizzonte: città militarizzate, coprifuoco, esercito per le strade. La narrazione ufficiale – “l’America è sotto attacco” – potrebbe giustificare la sospensione di libertà fondamentali. In nome della sicurezza, si sta preparando il terreno per lo svuotamento delle garanzie costituzionali.

La storia americana conosce i pericoli dell’autoritarismo. Ma oggi, quegli anticorpi sembrano indeboliti. Le istituzioni, pur ancora formalmente indipendenti, sono sottoposte a una pressione senza precedenti. E la Corte Suprema, già spostata nettamente a destra, potrebbe avallare scenari che fino a ieri sembravano impensabili.

Il vero pericolo è che questa crisi travalichi i confini degli Stati Uniti. In un mondo interconnesso, l’erosione dello stato di diritto nella più grande democrazia occidentale rischia di diventare un precedente, un modello per altri leader autoritari. L’idea che la democrazia sia un sistema fragile, superabile con la forza e con la paura, potrebbe fare scuola.

Ciò che accade oggi negli Stati Uniti riguarda anche l’Europa. Riguarda ogni cittadino che crede nella libertà, nella giustizia, nell’uguaglianza. Gli Stati Uniti sono stati a lungo il simbolo dell’Occidente democratico. Oggi rischiano di diventare la sua anticamera del collasso.

Se non si alza la voce adesso, se non si comprende la gravità del momento, potremmo scoprire troppo tardi che ciò che sembrava “una crisi americana” è solo l’inizio di un conflitto sistemico. Una guerra civile non nel senso tradizionale, ma qualcosa di più subdolo: una guerra contro la democrazia stessa.