Dall’accoglienza degli intellettuali braccati dal dal nazismo alle pressioni del governo Trump contro Harvard, Columbia e lo Smithsonian: come sono cambiati gli Stati Uniti che una volta difendeva sapere e pluralismo
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CHONGQING, CHINA - MAY 28, 2025 - An illustration photo shows the LOGO of Harvard University displayed in a smartphone with the American flag in the background in Chongqing, China on May 28, 2025. (Photo by CFOTO/Sipa USA)
Nel maggio del 1941, Claude Lévi-Strauss fu costretto a lasciare la Francia, dove l’introduzione delle leggi antisemite da parte del governo di Vichy aveva compromesso il suo ruolo di docente. Dopo aver vissuto in Brasile dal 1935 al 1939, insegnando sociologia all’università di San Paolo e conducendo ricerche sul campo tra i Nambikwara, tentò invano di ottenere un visto per tornare lì.
Come raccontò in Tristi Tropici, il visto per il Brasile gli sfuggì all’ultimo momento. Fu allora che, su invito di Alfred Métraux e Robert Lowie, decise di puntare sugli Stati Uniti. La sua candidatura venne inclusa nella lista degli studiosi europei perseguitati, redatta dalla Fondazione Rockefeller. Il quotidiano Domani ha preso a esempio la storia dell’intellettuale per raccontare il cambio di paradigma segnato dall’amministrazione Trump nel rapporto con il mondo accademico.
Lévi-Strauss e l’approdo americano
Non fu facile ottenere l’appoggio della Fondazione, che nutriva dubbi su un giovane ricercatore con ancora poca produzione scientifica e privo di dottorato. Tuttavia, grazie alla forza persuasiva di Métraux e Lowie, lo studioso francese venne infine accettato.
Métraux si impegnò personalmente anche per trovargli una collocazione accademica, rivolgendosi ad Alwin Johnson della New School for Social Research. Nella sua lettera di presentazione, descriveva Lévi-Strauss come un «antropologo molto promettente» e «l’uomo del futuro». Un giudizio che toccava le corde della cultura americana, attenta al merito più che ai formalismi.
L’America della conoscenza aperta
Come Lévi-Strauss, anche molti altri studiosi trovarono rifugio negli Stati Uniti in quegli anni turbolenti. Harvard, Yale, Princeton, Columbia, Cornell, MIT, Stanford e Caltech furono protagonisti di una stagione di accoglienza che rese il sistema accademico americano fertile e globale.
Fu in quell’ambiente che si formò il Lévi-Strauss destinato a rivoluzionare le scienze sociali con lo strutturalismo. Un’America che credeva nella conoscenza come strumento di progresso e pluralismo.
Le università nel mirino del trumpismo
Oggi, però, quell’eredità è sotto attacco. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha segnato un nuovo corso: tagli ai finanziamenti, ostacoli all’immatricolazione di studenti stranieri, e una campagna contro i presunti rigurgiti di antisemitismo nelle proteste pro-palestinesi.
Come ha dichiarato il vicepresidente JD Vance, «le università sono il Nemico». Il bersaglio non sono solo i singoli atenei, ma l’intero “ambiente” culturale e accademico che il trumpismo considera ostile alla sua narrazione. Un ambiente che «si ostina a indagare temi non ammissibili nella nuova America» e che è «prono alle minoranze».
Il nuovo maccartismo accademico
Nel nuovo clima politico, la libertà accademica diventa una posta in gioco cruciale. Le pressioni colpiscono anche lo Smithsonian Institution, accusato di dare troppo spazio a culture non bianche. La strategia è chiara: ridurre i fondi pubblici e spaventare i finanziatori privati, anche minacciando i loro interessi.
«Tagliare i finanziamenti a questo ambiente» è una scelta deliberata per comprimere la libertà di ricerca e di pensiero, e imporre un conformismo ideologico.
Una domanda urgente
Cosa sarebbe accaduto se l’America che accolse Lévi-Strauss fosse stata guidata dalle stesse idee che oggi alimentano la galassia trumpiana? Non occorre rifarsi a romanzi ucronici come Il complotto contro l’America di Philip Roth o L’uomo nell’alto castello di Philip K. Dick per immaginarlo.
L’attacco alle università non è solo una questione americana. È il segnale di un modello autoritario che potrebbe presto prendere piede altrove. E che rende più urgente che mai difendere i luoghi della conoscenza libera.