Taco – “Trump Always Chickens Out” – è diventato virale tra i trader di Wall Street e sui social. Un soprannome che fa infuriare Trump e svela la fragilità di una leadership che ama minacciare ma spesso si ritira all’ultimo momento
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Non si tratta di un’improvvisa passione per la cucina messicana, né di una goliardata da bar. Taco, negli ambienti finanziari, è l’acronimo che fa infuriare Donald Trump: “Trump Always Chickens Out”, ovvero “Trump fa sempre marcia indietro”. Dietro queste quattro lettere si nasconde una critica pesante a un presidente che ama le minacce muscolari ma raramente le porta fino in fondo.
L’idea è semplice: Trump annuncia dazi e misure economiche drastiche, generando panico sui mercati e tensioni diplomatiche, salvo poi fare retromarcia e negoziare compromessi più morbidi. Un copione che, secondo molti operatori di Wall Street, ha finito per diventare prevedibile come un film già visto.
Il termine Taco è stato lanciato dal giornalista Robert Armstrong sulle pagine del Financial Times e in poche ore è diventato virale tra i trader. Lì, dove si vive al ritmo dei tweet e dei grafici in tempo reale, il “Taco trade” è ormai un’espressione fissa: un vero e proprio schema per interpretare le mosse di Trump.
Un esempio? I dazi minacciati alla Cina, talvolta anche del 145%, che hanno fatto tremare gli indici di borsa e suscitato timori di una nuova guerra commerciale. Poi, puntualmente, l’annuncio di una revisione o di un rinvio delle tariffe, magari per “dare tempo alla diplomazia” o per calmare le paure delle grandi lobby industriali americane.
Lo stesso copione si è ripetuto con l’Unione Europea: prima la retorica da guerra fredda con promesse di dazi record, poi la mano tesa per un compromesso più ragionevole. Una strategia che, se a volte gli ha fruttato concessioni, rischia anche di minare la credibilità di un leader che ama definirsi un “duro” ma sembra incapace di sostenere davvero fino in fondo la propria sfida.
E in un’epoca in cui la comunicazione politica si gioca a colpi di meme e battute virali, Taco è diventato un simbolo. Su X (ex Twitter), le immagini satiriche si moltiplicano: fotomontaggi di Trump con un taco in mano, slogan come “Make America Taco Again” e infografiche con l’andamento dei mercati abbinato all’emoji .
Ma per Trump non è affatto un gioco. Lo si è capito in diretta, durante una recente intervista nello Studio Ovale. Quando una giornalista della CNBC gli ha chiesto un commento sul soprannome Taco, il presidente è esploso: “Domanda sgradevole. Non sarebbero nemmeno qui a negoziare se non avessi imposto quella tariffa. Ora che cerco un compromesso più ragionevole, dicono che sono un codardo. Questa è una brutta domanda”.
Una reazione che ha acceso ancora di più la miccia dell’ironia online. E mentre i meme si diffondevano come un contagio digitale, la Casa Bianca ha continuato a insistere sulla forza negoziale del presidente. Ma il nomignolo Taco ha colpito nel punto più delicato: l’orgoglio e l’immagine che Trump cerca da sempre di proiettare. Quella dell’uomo forte, del negoziatore inflessibile, dell’art of the deal che però, secondo molti, è più abile a minacciare che a combattere.
La verità è che questo soprannome – tanto semplice quanto velenoso – tocca una fragilità più profonda. Perché se è vero che Trump ama presentarsi come un combattente, è altrettanto vero che spesso i suoi proclami finiscono per trasformarsi in retromarce, lasciando dietro di sé il sospetto che tutto fosse solo un bluff.
E così, in un momento in cui la politica americana sembra sospesa tra dichiarazioni roboanti e compromessi last minute, Taco è diventato qualcosa di più di una battuta di Wall Street: è la metafora perfetta di una leadership che esibisce la propria durezza solo quando conviene, ma che non trova mai il coraggio di andare davvero fino in fondo.
Una cosa, però, resta certa: Donald Trump è permaloso. E quando un acronimo come Taco mette in discussione la sua immagine, la sua reazione è la conferma più lampante.