Condannato a cinque anni per i presunti fondi libici del 2007, è il primo ex capo di Stato francese a essere incarcerato dal dopoguerra. Ad accoglierlo alla Santé una folla divisa tra solidarietà e indignazione, e la protesta degli agenti penitenziari
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La folla lo aspettava già da ore, stretta attorno alla casa del quattordicesimo arrondissement. Quando Nicolas Sarkozy è apparso sulla soglia, mano nella mano con Carla Bruni, si è alzato un applauso lungo, istintivo, quasi commosso. «Nicolas! Nicolas!» gridavano in molti, sventolando bandiere francesi e fotografie del suo volto. L’ex presidente, giacca scura e passo sicuro, ha mantenuto la promessa fatta pochi giorni prima: affrontare il carcere a testa alta. La moglie invece, visibilmente provata, camminava in silenzio, lo sguardo fisso a terra.
Davanti al portone, i figli lo hanno abbracciato. Poi un cenno ai sostenitori, un sorriso appena accennato, e la salita sull’auto diretta verso la prigione della Santé, nel cuore di Parigi. Prima di partire, Sarkozy ha pubblicato un lungo messaggio sui social: «Mentre mi preparo a varcare le mura del carcere della Maison de la Santé, il mio pensiero è rivolto al popolo francese. Voglio dire loro, con la forza incrollabile che mi è propria, che non è un ex presidente della Repubblica quello che viene rinchiuso questa mattina, ma un uomo innocente. Continuerò a denunciare questa via crucis giudiziaria che dura da più di dieci anni. La verità trionferà, ma il prezzo sarà schiacciante».
All’esterno, la scena aveva il tono di un congedo pubblico. Qualcuno intonava la Marsigliese, altri mostravano magliette con la scritta “La fine della storia non è scritta”. Carla Bruni mandava baci alla folla, mentre Sarkozy stringeva mani, accennava parole di ringraziamento e poi, senza voltarsi, saliva in macchina. Un addio breve e composto.
La condanna a cinque anni di reclusione, di cui due non sospesi, è arrivata per il presunto finanziamento illecito della campagna elettorale del 2007 con fondi provenienti dal regime libico di Gheddafi. Una vicenda lunga oltre un decennio, fatta di intercettazioni, conti offshore, testimoni scomparsi e accuse di corruzione internazionale. L’ex presidente ha sempre negato ogni addebito, parlando di persecuzione politica e di una giustizia “spettacolarizzata”.
«È un errore giudiziario di proporzioni storiche», ha dichiarato il suo avvocato Jean-Michel Darrois, visibilmente commosso. «Sarkozy è stato condannato senza prove, su accuse inconsistenti». Il collega Christophe Ingrain ha già presentato richiesta di scarcerazione, ma la Corte d’appello potrebbe pronunciarsi solo tra qualche settimana.
Alla Santé, il penitenziario più antico e controverso di Parigi, Sarkozy sarà detenuto in isolamento per ragioni di sicurezza. Una cella di undici metri quadrati, un letto singolo, un piccolo televisore, un frigorifero e una scrivania. Potrà ricevere tre visite familiari a settimana e godere di un’ora d’aria al giorno nel cortile interno, sorvegliato da tre agenti. Le telefonate saranno limitate e registrate.
Nei giorni scorsi aveva confidato di aver preparato da tempo la valigia: pochi abiti, dieci foto di famiglia e tre libri. Tra questi, una biografia di Gesù e Il conte di Montecristo, simbolica lettura per chi, come lui, si sente vittima di un’ingiustizia. «In questo periodo isolato dal mondo», avrebbe detto a un amico, «scriverò un libro sulla mia esperienza».
Quando il convoglio con l’ex presidente ha raggiunto la prigione, decine di agenti penitenziari erano già in protesta davanti all’ingresso. “Crisi carceraria totale”, si leggeva sugli striscioni. “Basta incarcerazioni mediatiche”. Il sindacato ha colto l’occasione per denunciare la condizione disastrosa del sistema penitenziario francese: sovraffollamento cronico, mancanza di personale, strutture fatiscenti. La Santé ne è l’emblema: oltre 1.200 detenuti a fronte di una capienza di poco superiore a seicento.
L’arresto di Sarkozy ha spaccato la Francia. Per i suoi sostenitori è il simbolo di una giustizia cieca e vendicativa; per i detrattori è il segno che la legge è davvero uguale per tutti. «È la prima volta dal dopoguerra che un ex presidente viene rinchiuso in cella», scrive Le Monde, «e ciò segna una frattura nella storia politica del Paese».
Carla Bruni, rimasta fino all’ultimo fuori dai cancelli della prigione, ha salutato il marito con le lacrime agli occhi. Nessuna parola, solo un bacio lanciato verso l’auto che scompariva dietro il portone. Poco dopo, su Instagram, ha pubblicato una foto in bianco e nero della coppia, con una semplice frase: “L’amore è più forte di tutto”.
La Francia intera ha seguito quella scena in diretta, tra incredulità e rispetto. Davanti ai cancelli della Santé, il silenzio è durato qualche istante. Poi qualcuno ha ripreso a cantare la Marsigliese. Altri hanno applaudito. Un uomo anziano, con un vecchio giornale sotto il braccio, ha mormorato: «È finita un’epoca». Forse sì. O forse, come recitava una delle magliette sventolate poche ore prima, la fine della storia, davvero, non è ancora scritta.