I Dem restano stabili nei sondaggi e i riformisti reclamano centralità. Franceschini prepara un nuovo asse interno, Bettini media ma si smarca, mentre emergono figure come Manfredi e Salis. Ecco gli scenari
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
Elly Schlein
C’è chi, nel Pd, lo dice sottovoce da settimane: Elly Schlein è entrata nella fase più complessa della sua leadership. Non si parla di sostituzione, non ci sono piani dichiarati per un cambio della guardia, ma il fermento è evidente. Le dinamiche di un partito grande e conflittuale tornano in superficie e, come spesso accade a sinistra, il dissenso prende la forma del correntismo che si riorganizza e si allarga.
La segretaria, arrivata alla guida dei dem sull’onda del voto delle primarie, ha portato nuova energia, recuperato consenso tra i giovani e spinto su temi identitari. Ma ora deve fare i conti con un partito che, dopo l’entusiasmo iniziale, si ritrova fermo su numeri che non sfondano. Intorno al 21%, stabile, mentre il governo Meloni consolida la sua posizione e i cicli politici si accorciano.
Tra i dirigenti più esperti, l’analisi è semplice: con una maggioranza compatta e un'opposizione plurale, ci si aspettava un incremento significativo. Il punto, dicono alcuni ex ministri, non è l’identità progressista, ma la capacità di parlare anche a quell’elettorato moderato che nel passato ha garantito al Pd la possibilità di competere per Palazzo Chigi. È lì che si innesta la discussione più delicata: la sintesi tra radicalità programmatica e ambizione di governo.
Il malessere riformista, emerso in modo plastico nella riunione di Milano con il motto “riprendiamo la nostra voce”, riflette proprio questa tensione. Non una fronda dichiarata, ma un’area che vuole riequilibrare la linea e impedire che l’agenda del partito sia interamente giocata sul versante sinistra-sinistra, con l’alleanza strutturale a Movimento 5 Stelle e Avs. L'idea che il Pd debba restare forza centrale e non satellite di un asse già definito scava tra molti parlamentari.
In questo contesto si muove Dario Franceschini, che ha scelto Montepulciano per lanciare un nuovo baricentro organizzativo. Lo chiama “correntone di stimolo”, gli altri lo definiscono un argine, un modo per partecipare alla costruzione della linea e non subirla. Insieme a lui Orlando e Speranza, con l’obiettivo di stringere attorno alla segretaria una fascia di influenza che eviti derive identitarie troppo nette. Una sorta di abbraccio politico, protettivo quanto condizionante.
Sul fronte opposto, la guardia stretta del quartier generale dem teme un logoramento per accerchiamento. Taruffi, Furfaro, Righi, Alivernini e Bonafoni presidiano la linea identitaria, consapevoli che ogni tentativo di “normalizzare” la segreteria rischia di ridurne la spinta originaria. Lavorano per tenere insieme anima movimentista e visione istituzionale, con un equilibrio che la prossima campagna referendaria metterà alla prova.
Poi c’è Goffredo Bettini, ponte naturale tra anime diverse. È stato uno dei primi a credere nella segretaria, l’ha aiutata nelle ricuciture territoriali e ne difende la funzione riformatrice. Ma non rinuncia a immaginare un allargamento dell’area democratica: una “tenda centrata sulla sinistra ma aperta”, che guarda ai sindaci, ai mondi civici e alle esperienze amministrative più solide. Da qui l'attenzione verso figure come Gaetano Manfredi, oggi sindaco di Napoli, e Silvia Salis, vicepresidente del Coni, nomi che alcuni citano come possibili federatori di un campo largo che fatica a riconoscersi in una sola leadership.
La reazione della segretaria non è accomodante. Ha scelto di mostrarsi proiettata verso le amministrazioni locali, conscia che i riflettori si accendono ormai non solo sul lavoro parlamentare ma sulle geometrie di coalizione. Il sorriso un po' teso davanti ai fotografi restituisce la misura della pressione: restare centrale in un campo che si frantuma e ricompone di continuo è impresa politica e personale.
Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle osserva e attende. Giuseppe Conte, moderato nei toni più che in passato, resta in scia. Il suo calcolo è semplice: se il Pd si apre alla ricerca di un federatore, il suo nome torna automaticamente nel novero. Se invece la Schlein tiene la barra, il M5S può rafforzarsi come seconda gamba del fronte. In entrambi i casi, la partita è lunga e il quadro aperto.
Per ora, nessuno nel Pd invoca la resa dei conti. Non ci sono tempi tecnici né condizioni politiche. Ma la tensione è reale e riguarda la direzione strategica del partito. Schlein lo sa, lo vede, lo avverte. Chi le è vicino parla di determinazione, di ascolto selettivo, di volontà di avanzare evitando di farsi risucchiare. La domanda è se basterà. Nel centrosinistra italiano, la leadership non si eredita: si riconquista, ogni giorno.

