Una telefonata in piena crisi internazionale mostra la svolta della segretaria del Pd, che si smarca dal leader del M5s e prova a riscrivere il profilo del suo partito: più europeista, più atlantista, più istituzionale
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Una telefonata tra due donne, ma non due qualsiasi: Elly Schlein e Giorgia Meloni, in un’Italia agitata da venti di guerra e da opposizioni sempre più frastagliate. La segretaria del Partito democratico ha scelto di comporre il numero della premier non per un gesto di cortesia, ma per un atto politico ben preciso: smarcarsi. Da chi? Da Giuseppe Conte, dal grillismo movimentista, da quella sinistra che ancora sogna manifestazioni di piazza contro la Nato mentre Putin bombarda e l’Iran minaccia l’Occidente.
«Non faccio l’ultrà», avrebbe detto Elly ai suoi subito dopo. E non è solo una frase: è una direzione. Una linea che la distingue dai toni barricaderi del Movimento 5 Stelle, che negli ultimi giorni ha rilanciato mozioni su Gaza, sulla Russia, sulla spesa militare, sempre all’insegna del no. No al riarmo, no agli impegni Nato, no alla difesa comune europea. Ma governare, si sa, non è mai solo una questione di no.
La segretaria dem lo ha capito. Anche se il suo partito ha votato contro la mozione di maggioranza in aula, ha scelto di non accodarsi ai 5stelle, astenendosi sulle loro richieste. Una distanza politica che si è fatta simbolica con la telefonata alla presidente del Consiglio. Un gesto che Meloni, raccontano fonti vicine a Palazzo Chigi, ha apprezzato: «Un segnale di responsabilità, da non sottovalutare», avrebbe confidato ai fedelissimi.
Il vero punto, però, è la strategia. Schlein non può permettersi di restare schiacciata su Conte, che punta a intestarsi il ruolo di guida dell’opposizione, con il suo iperpacifismo e una certa nostalgia per l’ambiguità geopolitica. In fondo, Conte a Palazzo Chigi c’è stato, Schlein no. E nel confronto sul campo largo, questo fa la differenza. Per questo Elly ora punta a presentare il Pd come forza credibile, interlocutore dei partner europei, forza di governo a tutti gli effetti. Non basta fare opposizione: bisogna essere affidabili.
E così, mentre il leader 5stelle manifesta contro l’Alleanza Atlantica — «non per uscire dalla Nato, ma contro la logica del riarmo» precisa, con tono cerchiobottista — la segretaria del Pd parla con Meloni per dire che no, lei su queste posizioni non ci sta. Nonostante i distinguo, i se e i ma, nonostante le ambiguità storiche della sinistra italiana sul tema della difesa, Schlein prova a riscrivere il profilo del Pd: più europeista, più atlantista, più istituzionale. Più simile, insomma, ai partiti socialisti di governo in Germania o in Spagna.
Non è una svolta netta, ma è un cambio di postura. Che spiazza i grillini e mette in difficoltà Conte, costretto ora a spiegare la sua posizione tra comizi antimilitaristi e tentativi di rassicurare sulle reali intenzioni verso la Nato.
Il campo largo, a questo punto, sembra sempre più un campo minato. E mentre i partiti si dividono, le leadership si misurano sul terreno della credibilità internazionale. Schlein ha scelto di esserci, in modo diverso. E la telefonata con Meloni è solo il primo passo. Non verso un’intesa, certo, ma verso una consapevolezza: che per governare, bisogna prima imparare a farsi ascoltare anche dagli avversari.