A pochi giorni dalla tregua con l'Iran, il presidente Usa chiede la grazia per Bibi e spiazza Israele. La risposta dell’opposizione a Tel Aviv: «Nessuno è al di sopra della legge». Intanto a Gaza si contano oltre 56mila vittime
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Trump e Netanyahu
A meno di 48 ore dalla dichiarata tregua con l’Iran, comunicata via social, l’amministrazione Trump torna a muoversi sullo scacchiere mediorientale. L’occasione è il quinto anniversario degli Accordi di Abramo, firmati nell’agosto 2020, che potrebbe segnare una nuova fase nel percorso di normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi. Al centro delle trattative, oltre ai rapporti con l’Arabia Saudita, restano il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi.
In questo contesto, spicca anche un inedito intervento diretto del tycoon nelle vicende interne israeliane. Trump ha infatti difeso Netanyahu, criticando apertamente i processi a suo carico. Un gesto che ha provocato reazioni immediate a Gerusalemme e che rischia di generare nuove tensioni tra politica e magistratura nello Stato ebraico.
Trump: «Annullare subito il processo a Netanyahu»
Con un post su Truth, Donald Trump ha preso le difese del primo ministro israeliano, definendo “scioccante” il fatto che “Israele, che ha appena vissuto uno dei suoi momenti più grandiosi della storia, guidato con forza da Netanyahu, stia continuando la sua ridicola caccia alle streghe contro di lui”, “un uomo che ha dato così tanto”.
Trump ha quindi proseguito: “Il processo a Bibi dovrebbe essere annullato immediatamente, oppure dovrebbe essere concessa la grazia a un grande eroe che ha fatto così tanto per Israele”. Le parole dell’ex presidente americano hanno sorpreso l’opinione pubblica israeliana, che ha però presto reagito con una raffica di commenti politici.
Gerusalemme risponde: «Nessuno è al di sopra della legge»
Le istituzioni israeliane non hanno tardato a replicare. Il presidente della commissione Costituzionale, Simcha Rotman, ha ricordato che “non è compito del presidente Usa interferire nei procedimenti legali di Israele. La nostra indipendenza è un valore importante, anche per Netanyahu”.
Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha ipotizzato un movente politico: “Presumo che questo sia un risarcimento che Trump sta dando a Netanyahu per convincerlo a mettere fine alla guerra a Gaza”. Mentre il parlamentare democratico Gilad Kariv ha ribadito che “la tradizione ebraica ci insegna che nessuno è al di sopra della legge. Nemmeno un primo ministro”. Il presidente Isaac Herzog ha aperto a un possibile epilogo legale: “Il processo si potrebbe chiudere con un patteggiamento”, ipotesi che però, secondo molti commentatori, Netanyahu non accetterà mai perché significherebbe ammettere una colpa.
Il processo a Netanyahu e il caso Bezeq-Walla
Il procedimento a carico del premier va avanti da cinque anni e comprende tre capi di accusa: corruzione, frode e abuso di fiducia. Il caso più pesante è quello Bezeq-Walla: Netanyahu avrebbe favorito con provvedimenti normativi la società di telecomunicazioni Bezeq, il cui azionista di riferimento, Shaul Elovitch, avrebbe ricambiato offrendo una copertura mediatica positiva sul sito Walla, di sua proprietà. Un intreccio tra interessi privati e potere politico al centro dell’inchiesta giudiziaria più delicata nella carriera del premier.
Striscia di Gaza: 103 vittime in 24 ore, sospesi gli aiuti
Nel frattempo, il conflitto a Gaza continua a mietere vittime. Secondo fonti mediche citate dall’agenzia palestinese Wafa, nelle ultime 24 ore si registrano almeno 103 morti e 219 feriti, portando il bilancio complessivo a oltre 56mila vittime dall’inizio della guerra. Il governo israeliano ha deciso di sospendere per 48 ore gli aiuti umanitari, accusando Hamas di aver ripreso il controllo dei convogli: “Hamas ha ripreso il controllo dei tir”, è la motivazione fornita da Netanyahu e dal ministro della Difesa Israel Katz.
Eppure, giovedì sera, la Gaza Foundation ha comunicato di aver comunque distribuito 38.880 scatole di cibo in tre siti della Striscia. Il presidente esecutivo della fondazione, Johnnie Moore, ha scritto all’ONU per chiedere una collaborazione diretta nell’assistenza alimentare e ha criticato duramente il silenzio internazionale: “Il silenzio di fronte a tale violenza non è imparzialità né neutralità. È abbandono”.