Il miliardario accusa il presidente di essere nei documenti segreti sullo scandalo del Lolita Express. Ma cosa contengono davvero questi dossier? Un reticolo di nomi famosi e testimonianze scabrose
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Elon Musk e Donald Trump
Donald Trump è davvero finito nei famigerati “Epstein files”? Elon Musk sembra pronto a scommetterci. E la sua nuova provocazione getta altra benzina sul fuoco di uno scontro che sta assumendo i contorni diuna faida tra titani. «Trump è nei file di Epstein. È questa la ragione per cui non sono stati pubblicati», ha tuonato Musk sui social, in un crescendo di post sempre più aggressivi. Il patron di Tesla e X non si è fermato qui: «Segnatevi questo post. La verità verrà fuori», ha aggiunto, lasciando intendere che ci siano rivelazioni esplosive pronte a emergere. Ma cosa sono davvero questi file e perché rappresentano una mina vagante per la politica americana?
Gli “Epstein files” non sono un singolo documento, ma un mosaico di materiali – giudiziari e personali – legati a Jeffrey Epstein, il finanziere newyorkese arrestato nel luglio 2019 per traffico sessuale di minorenni e morto suicida in cella un mese dopo. Epstein, secondo le indagini, aveva creato un vero e proprio harem di ragazzine tra i 13 e i 15 anni, usate per intrattenere amici potenti in residenze private e su un’isola delle Isole Vergini.
Il primo fascicolo è il famigerato “Black Book”, la rubrica personale di Epstein: centinaia di nomi e numeri di telefono, da Tony Blair a Rupert Murdoch, da Les Wexner a Mick Jagger. Poi c’è il “logbook” dei voli sul jet privato, il famigerato “Lolita Express”, usato per trasportare ospiti di riguardo verso le proprietà del finanziere. Il terzo filone contiene le testimonianze delle vittime e di chi lavorava con Epstein. Il quarto, infine, raccoglie gli atti delle cause civili e penali contro di lui e la sua complice Ghislaine Maxwell.
Il nome di Trump è effettivamente comparso nel “Black Book” di Epstein: vi erano annotati i numeri del tycoon e di alcuni membri della sua famiglia, tra cui Ivanka e Donald Jr. Questo però, hanno sempre chiarito gli investigatori, non prova alcun coinvolgimento nei reati. Anche nei registri di volo non risultano viaggi di Trump sul “Lolita Express”. Il legame, semmai, è di altra natura: negli anni ’90, Trump e Epstein si frequentavano e non facevano mistero di condividere l’ammirazione per le “belle donne, anche giovani”, come disse Trump in un’intervista. Ma dopo l’arresto di Epstein, l’allora presidente si affrettò a prendere le distanze.
Musk, con i suoi post, lascia però intendere che ci sia molto di più. E accusa il Dipartimento di Giustizia, guidato da Pam Bondi – considerata alleata di Trump – di aver insabbiato documenti compromettenti. La stessa Bondi aveva promesso di pubblicare i file, ma alla fine aveva diffuso solo alcuni stralci. Secondo Musk, sarebbe la prova che la verità su Trump e Epstein è stata nascosta.
Curioso è il ribaltamento: per anni i trumpiani avevano accusato i Democratici di voler coprire i “big liberal” (tra i nomi citati dalle vittime ci sono Bill Clinton, il principe Andrea e Bill Gates). Oggi, invece, è Musk a lanciare l’ombra sullo stesso Trump, in un duello tra egomani senza esclusione di colpi. Cosa succederà adesso? Gli “Epstein files” restano un campo minato. Le autorità hanno sempre frenato: la sola comparsa di un nome nella rubrica non implica responsabilità penale. Ma Musk, come un vendicatore con la maschera da Joker, alimenta la tensione con le sue minacce. E la guerra tra i due uomini più potenti e imprevedibili del mondo rischia di far emergere nuovi capitoli di uno scandalo mai davvero chiuso.