Donald Trump, tutto quello che tocca si trasforma in fango. Dopo aver riportato i liberali al potere in Canada con la sola forza della sua ingombrante retorica, il tycoon regala ai progressisti un'altra insperata vittoria, stavolta a migliaia di chilometri di distanza, dall'altra parte del mondo. In Australia, dove si votava per rinnovare i 150 seggi della camera dei rappresentanti, l’effetto Trump si è fatto sentire ancora prima di atterrare: il premier laburista Anthony Albanese ha travolto lo sfidante Peter Dutton, leader dell’alleanza Liberal-Nazionale, conquistando una riconferma che mancava da vent’anni. E se la vittoria si confermerà netta anche nei dati definitivi, potrebbe addirittura riuscire a governare senza bisogno di alleanze.

A perdere, oltre ai conservatori, è stato lo stesso Dutton, battuto nella sua Brisbane dall’ex giornalista e atleta paralimpica Alice France. Un'umiliazione che lo costringe all'addio: «Dopo 24 anni in politica, è ora di lasciare», ha detto tra l’incredulo e il dimesso, mentre alle sue spalle i militanti cercavano di capire cosa fosse andato storto. La risposta, in realtà, arriva da molto lontano: dagli Stati Uniti di Trump. Per mesi Dutton si era atteggiato a "Trump australiano", rincorrendone le posizioni più estreme, gli slogan populisti, la guerra culturale permanente. Ma con il ritorno di The Donald alla Casa Bianca, quell’identificazione si è trasformata in zavorra.

A pesare sono state le conseguenze concrete della politica estera americana: i nuovi dazi imposti da Trump, l’approccio unilaterale, la progressiva tensione nei confronti degli storici alleati come Australia e Canada. I sondaggi locali hanno rilevato un aumento del sentimento anti-Trump tra gli elettori, in particolare tra i giovani, che rappresentano il 43 per cento dell'elettorato australiano. Un clima che ha portato Albanese a cambiare registro: se nel 2022 aveva fatto campagna contro l'espansionismo cinese, stavolta ha puntato il dito contro le derive sovraniste di Washington.

E ha funzionato. Anthony Albanese, figlio di un immigrato di Barletta, ha incarnato per l’Australia un ritorno alla stabilità, ma anche un distacco consapevole dal trumpismo. A 62 anni, ha resistito alla tempesta economica, all’inflazione, alla crisi degli alloggi, e ha chiesto un nuovo mandato con una promessa semplice: proteggere il Paese da ogni minaccia esterna. Anche da quelle che provengono da chi un tempo era considerato un alleato incrollabile.

La sconfitta dei conservatori non è quindi solo politica, ma simbolica. In pochi mesi, due Paesi del Commonwealth, Canada e Australia, hanno virato decisamente a sinistra, rivendicando un'identità indipendente dal magnetismo tossico del trumpismo. Due Paesi uniti dal legame con la Corona britannica, certo, ma anche da una crescente voglia di emancipazione. In Australia, come in Canada, i movimenti per la Repubblica tornano a farsi sentire, e Re Carlo diventa ogni giorno meno rilevante nel dibattito pubblico. Ma in questo nuovo scenario, è l'alleanza con gli Stati Uniti ad apparire più fragile.

Australia e Canada fanno parte dei Five Eyes, il patto segreto di intelligence tra i cinque Paesi anglofoni (Stati Uniti, Regno Unito, Nuova Zelanda, Australia e Canada). Eppure proprio i due membri più lontani geograficamente si stanno dimostrando i più pronti a rimettere in discussione le dinamiche di questa alleanza. Non una rottura, ma una presa di distanza. Un contrappeso alla nuova Casa Bianca che fa guerra ai dazi e pontifica contro il mondo.

Nel frattempo, la lezione australiana si fa sentire anche in Europa. Nigel Farage, il più trumpiano tra i politici britannici, ha vinto le elezioni municipali, e sogna Downing Street nel 2029. Ma i suoi avversari evitano accuratamente ogni riferimento diretto a Trump. Forse hanno imparato la lezione: prendere le distanze, non inseguire. L’elettorato mondiale, almeno fuori dagli Stati Uniti, sembra aver compreso che la copia è sempre meno convincente dell'originale.

La favola di Trump che porta voti ovunque si incrina. Inizia a delinearsi una tendenza che potrebbe pesare anche altrove. Trump, il re Mida al contrario, lascia tracce di fango anche quando non tocca direttamente. E chi si affretta a raccoglierle rischia di scivolare.