Alimentare lo scontro con Mosca, mentre Trump e Putin sono vicini alla sigla della pace, è una forma di egoismo miope e autolesionista
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L’Unione Europea proprio in queste ore si gioca le residue possibilità di rientrare nella grande e storica partita globale che, a partire dall’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa, sta ridisegnando gli equilibri del mondo. Se non fosse per le resistenze poco meditate di alcuni Paesi europei l’accordo fra Usa e Russia sarebbe già stato varato, certo con un ridimensionamento delle pretese di un’Ucraina che non avrebbe dovuto giungere allo scontro militare con Mosca, né prestarsi a quelle spinte occidentali finalizzate ad allargare la Nato fino alle porte dell’ex Urss.
L’Ucraina è vittima delle scelte politiche errate e degli interessi geopolitici di una parte dei suoi dirigenti nazionali che hanno accettato di alimentare una pericolosissima escalation fra Stati Uniti d’America e Russia.
Donald Trump è tutt’altro che un improvvisato demagogo, come amano descriverlo quanti non hanno ancora capito che cosa sta succedendo a livello planetario o immaginano di poter riportare indietro l’orologio di un XXI secolo che chiuderà definitivamente le porte agli assetti nati dopo la Seconda Guerra Mondiale. Donald Trump è il rappresentante di quell’America maggioritaria che non vuole uscire con le ossa rotte dallo scontro epocale con la Cina, con l’India e con tutti i sostenitori della fine dell’egemonia statunitense nata alla fine della Prima Guerra Mondiale e rafforzatasi dopo la Seconda.
Lungo questa strada le decisioni che assumerà la Russia di Vladimir Putin hanno rilevanza strategica e potranno far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Trump ha costruito un’alleanza forte con alcuni dei più importanti Paesi Arabi, impegnati nel disegnare l’era post-petrolio, e con Israele. In mezzo l’Europa dei tentennamenti, dei leader molto azzoppati di Paesi che ancora immaginano di poter contare da soli in uno scacchiere dominato da giganti. Mentre Macron, che non è De Gaulle, ritiene di poter porre veti, la cinese JD.com ha acquisito la tedesca Ceconomy che controlla MediaWorld, colosso della distribuzione di prodotti elettronici che solo in Italia vanta 144 punti vendita con 5mila dipendenti (fonte Sole24Ore)! JD,com è il terzo operatore cinese dell’e-commerce dopo Alibaba e Temu.
Il gruppo MediaWord, che in altre nazioni Ue assume diverse denominazioni, conta oltre 1.000 negozi nel Vecchio Continente con 22,4 miliardi di fatturato. Potenti azioni economiche di questa natura, così come altre, hanno inevitabilmente ripercussioni importanti su tutto il sistema Europa. Si dimostra, inoltre, che Germania, Francia, Regno Unito e anche l’Italia, da soli non hanno la forza di contrastare la crescita e l’espansione di Pechino o di Nuova Delhi. Che senso ha, allora, insistere nell’amplificare la distanza, se non addirittura la contrapposizione con la Russia? Mosca è Europa, lo dice la storia. E Donald Trump sa bene che un’alleanza definitiva, salda, inattaccabile tra i Paesi Brics sarebbe la firma in calce all’atto di progressiva decadenza dell’Occidente.
Ritorniamo al concetto iniziale, che è stato richiamato indirettamente nelle dichiarazioni ufficiali russe e americane dopo il summit dell’Alaska. Che posizione intende assumere l’Unione Europea? Vuole la pace o la guerra? E se vuole la guerra dovrebbe anche chiarire perché e a chi questo conflitto sanguinoso conviene. Immaginano alcuni protagonisti Ue di affrontare la loro profonda crisi industriale puntando sul riarmo? Non sarebbe più saggio che l’Ue, invece, decidesse finalmente cosa diventare e che tipo di economia costruire, immaginando di avere proprio nella Russia, oltre che negli Usa, un potente partner per lo sviluppo, per le materie prime, per i commerci, ma anche per la sicurezza? Né può sfuggire che un eventuale gioco delle parti tra Usa e Ue nel confronto con Russia e Cina verrebbe immediatamente smascherato e contrastato. Qualcuno potrebbe osservare: ma Cina e India sono i nemici? No, per carità. In un mondo pacifico e collaborativo ci può essere spazio per tutti, puntando peraltro sulla riforma delle Organizzazioni Internazionali ormai acciaccate. È l’Europa che deve ragionare, piuttosto, sul proprio declino che allo stato appare irreversibile.