C’era un tempo in cui la cultura non scorreva sugli schermi, non si consumava con un dito, non evaporava in un algoritmo. C’era un tempo in cui la parola aveva un peso fisico, una resistenza materiale, quasi un odore. A Cosenza, negli anni Ottanta e Novanta, quel tempo aveva un nome: Inonija.

Inonija non era soltanto una rivista culturale di filosofia, poesia e letteratura. Era un gesto. Un atto di ostinazione culturale. Dieci numeri soltanto, ma sufficienti a lasciare una traccia profonda, come fanno le cose autentiche che non cercano facili successi, ma la verità. Rivista impaginata a mano, con caratteri tipografici artigianali, che si potevano toccare e sentire sotto le dita. Lettere vere, non pixel. Carta che resisteva. Carta che chiedeva tempo, attenzione, silenzio.

A fondarla furono i tre poeti Angelo Fasano, Raffaele De Luca e Franco Dionesalvi, insieme a un gruppo di amici che prima ancora di essere redattori erano lettori, pensatori, sognatori. Al centro, la figura di Angelo, direttore della rivista per tutti e dieci i numeri. Attorno, una comunità culturale viva, inquieta, radicale nel senso più nobile del termine. L’editore era Santino Fasano, padre di Angelo: un uomo che aveva scelto di credere nella cultura come atto necessario, non come ornamento.

E poi c’era Maria Francesca Fasano, sorella di Angelo, grafica della rivista e testimone diretta della sua nascita. Inonija nasceva così: dalle idee di un gruppo di amici, da discussioni notturne, da fogli sparsi, da parole leggere che non chiedevano permesso. Una rivista che parlava di poesia e letteratura, ma che all’inizio si apriva anche alla musica, alle tendenze artistiche, perché in quello spazio le arti dialogavano davvero, senza compartimenti stagni.

Il nome stesso, Inonija, era già una dichiarazione di poetica. Viene da un libro dello scrittore russo Esemin: Inonija come terra dell’utopia, luogo che non esiste ma che serve per orientarsi. Una geografia immaginaria per non perdersi. Una parola che conteneva già il senso di tutto: cercare ciò che non c’è ancora, ma che deve essere pensato.

In quegli anni, Cosenza era attraversata da una tensione culturale vera. Non patinata. Non addomesticata. Francesco Garritano, poi divenuto docente all’Università della Calabria, firmava articoli di filosofia: riflessione rigorosa, mai astratta, sempre calata nel tempo presente. La rivista era questo: un laboratorio. Un luogo di pensiero. Una forma di resistenza civile, quando la parola “resistenza” non era uno slogan, ma una pratica quotidiana.

Oggi, a distanza di decenni, quella esperienza torna a parlare. Torna a respirare. Torna a interrogare. Lo fa con “INONIJA. Visioni, suggestioni, versi”, una serata ideata da Stefania Maranzano, con l’intento che non fosse una commemorazione nostalgica, ma un atto concreto: reading di poesia con musica dal vivo, letture sceniche, voci che si intrecciano. Ciascun poeta con il suo spazio, ogni parola con il suo tempo, ogni silenzio con la sua dignità. Perché la poesia, se è vera, non ha bisogno di urlare.

Le letture sceniche sono affidate a Francesco Bossio, attore e doppiatore nato a Roma, cosentino d’adozione, capace di restituire alla parola detta il suo corpo, la sua temperatura, la sua ferita. La musica delle giovani e talentuose musiciste Michela Minicozzi e Laura Muglia, violoncello e sassofono, nutre, non copre. Scava, non distrae.

Dialoga.

L’iniziativa è promossa da Civitas Solis Cosenza Aps, in collaborazione con il Beat Music Club, e con il Conservatorio di Musica “Stanislao Giacomantonio” di Cosenza, ed è realizzata con il sostegno della Fondazione Carical. Una rete concreta, reale, che dimostra come la cultura non nasca mai da sola, ma da alleanze, responsabilità condivise, visioni comuni.

L’incontro, aperto al pubblico, si terrà al Beat 3.0, in Piazza Duomo – Corso Bernardino Telesio, nel cuore della città vecchia, giovedì 18 dicembre dalle 18:00 alle 20:00, ed è condotto da Francesco Vilotta giornalista e firma di La news24, con un compito semplice e difficile insieme: lasciare spazio alle voci, tenere il filo, non tradire lo spirito di ciò che Inonija è stata e continua a essere.

Ma questa serata non è un episodio isolato. Inonija si inserisce nel percorso più ampio della Biennale di Filosofia, e ne rappresenta la chiusura simbolica dell’anno 2025. Dopo la quarta Maratona Filosofica, “Psiche”, svoltasi il 4 dicembre nella sala conferenze dell’Archivio di Stato di Cosenza, la Biennale sceglie di congedare l’anno attraverso la poesia, con la voce, con la parola che torna a essere corpo. E dandoci appuntamento nel 2026 con numerose altre iniziative culturali.

La quarta Maratona ha attraversato i temi dell’interiorità, della coscienza, della relazione tra individuo e società, con i contributi di Simonetta Costanzo, Sonia Vivona, Andrea Mazzza, Paolo Jedlowsky, Mimmo Frammartino, e mettendo in dialogo saperi diversi: scienza, meditazione, sociologia, filosofia, identità.

Inonija arriva dopo, come naturale approdo. Perché quando il pensiero ha fatto il suo percorso, resta la parola nuda. Resta la poesia. Resta ciò che non spiega, ma interroga.

Chiudere l’anno della Biennale con Inonija significa affermare una scelta precisa: dire che la filosofia non vive solo nei concetti, ma anche nei versi; non solo nei seminari, ma nelle voci; non solo nelle aule, ma nei luoghi condivisi della città. È un gesto politico nel senso più alto: restituire centralità alla parola come esperienza umana, non come prodotto.

INONIJA, allora, non è solo memoria. È una domanda aperta. È un promemoria scomodo: che la cultura può essere povera di mezzi ma ricca di senso, che la poesia non serve a consolare ma a disturbare, che le riviste fatte a mano, con le lettere che si sentono toccandole, valgono più di mille contenuti usa e getta.

In un tempo che consuma tutto in fretta, Ionija chiede di fermarsi. Di ascoltare. Di ricordare che l’utopia non è un lusso, ma una necessità. E che senza luoghi così – reali o immaginari – una comunità smette di pensare, e lentamente, senza accorgersene, smette anche di vivere.