VIDEO | Il progetto ha riportato alla luce larga parte del patrimonio artistico calabrese rimasto nascosto per decenni, completando una ricerca avviata negli anni ’90 da Simonetta Lux. Irene De Franco di Verde Binario (ETS): «Realizzare la mostra negli stessi spazi in cui era stata immaginata è stato emozionante»
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Un progetto di memoria e, al tempo stesso, un gesto politico di riattivazione culturale: così si può definire “Avvicina. Arte in Calabria dal 1945 ad oggi”, la mostra appena conclusasi a Rende dopo oltre un mese di apertura, che ha riportato alla luce un archivio dimenticato con opere di circa 40 artisti diversi, restituendo visibilità a una parte significativa della storia artistica calabrese. Il punto di partenza è la ricerca incompiuta coordinata nei primi anni Novanta da Simonetta Lux per il Consorzio Università a Distanza (CUD), un’indagine che avrebbe dovuto culminare in una mostra allestita negli stessi spazi di oggi, tra la sala mensa e il parcheggio sotterraneo della nuova sede del Consorzio. Un progetto allora ambizioso, mai realizzato, che lasciò in sospeso un’importante occasione di confronto.
Il CUD, attivo dal 1984, fu infatti un esperimento pionieristico per la Calabria degli anni Ottanta e Novanta: un’università a distanza in tempi in cui internet non esisteva ancora, costruita su un modello di formazione decentrato e tecnologico, anticipatore delle future piattaforme multimediali. Non stupisce che la ricerca raccolta in quegli anni dedicasse molta attenzione anche alle pratiche artistiche legate al video, all’audiovisivo e ai linguaggi tecnologici.
A oltre trent’anni di distanza, grazie al lavoro di recupero dell’associazione culturale Verde Binario, quel materiale riemerge come archivio ritrovato, pronto per essere studiato, consultato e finalmente portato a compimento. Dopo il ritrovamento, l’associazione ha avviato un vasto lavoro di digitalizzazione e catalogazione, affiancando al recupero del patrimonio documentario un’estensione della ricerca fino ai giorni nostri.
«Le sfide affrontate dal 2017 sono state molteplici» racconta Irene De Franco, presidente di Verde Binario. «Abbiamo dovuto bonificare gli spazi per accogliere il mainframe GE-120, che ci ha permesso di accedere a questo tesoro nascosto. La prima prova è stata allestire una mostra filologica negli stessi ambienti in cui era stata concepita trent’anni fa. Poi abbiamo dovuto mettere ordine nel materiale, digitalizzarlo, studiarlo, comprenderne il valore storico e artistico. È stato un lavoro collettivo, portato avanti da soci, volontari del servizio civile, amici dell’associazione. Ma alla fine abbiamo costruito una vera macchina del tempo che racconta l’arte in Calabria dal dopoguerra agli anni Novanta. E ora, grazie al contributo di studiosi e artisti, l’archivio potrà continuare a crescere».
Il percorso espositivo si articola in due momenti distinti: uno interno, ospitato negli spazi del MIAI – il Museo Interattivo di Archeologia Informatica, dedicato all’archivio dal 1945 al 1992 – e uno esterno, più contemporaneo, che sospende la linearità storica e accoglie le produzioni degli anni 2000. Rossella Ciciarelli, responsabile della ricerca scientifica del progetto, ne descrive la struttura: «All’interno abbiamo disposto il materiale seguendo una linea del tempo che testimonia come gli artisti calabresi abbiano progressivamente conquistato uno sguardo autonomo. Si parte dal secondo dopoguerra, poi il verbo visivo, l’arte sociale degli anni Settanta, l’audiovisivo e il post-moderno negli anni Ottanta, fino alle sperimentazioni relazionali dei primi anni Novanta. In questo percorso trovano spazio anche opere originali degli artisti censiti da Simonetta Lux».
Superato l’archivio, il visitatore si ritrova in un presente artistico dilatato, senza cronologie rigide: «All’esterno, continua Ciciarelli, il tempo si sospende. Accanto ad artisti del censimento originario abbiamo coinvolto una generazione intermedia e giovanissimi under 30 selezionati tramite open call, per raccontare cosa è accaduto in Calabria dopo quel 1992 che, nella ricerca di Lux, rappresentava l’oggi».
Il pubblico ha premiato questo lavoro lungo e paziente con una partecipazione sorprendente, nonostante l’apertura limitata ai weekend. «Il bilancio è stato super positivo» conclude De Franco. «Abbiamo approfondito le nostre conoscenze e ricucito relazioni con tutti gli artisti coinvolti. Ma soprattutto abbiamo visto la gioia dei visitatori nello scoprire un tesoro rimasto nascosto per decenni. Realizzare la mostra negli stessi spazi in cui era stata immaginata è stato emozionante: un vero salto quantico».
E, alla fine, il nome scelto trent’anni fa si è rivelato quasi profetico. “Avvicina” ha davvero compiuto ciò che prometteva: ha ridotto le distanze tra passato e presente, tra archivio e creatività contemporanea, tra arte e territorio. Ha avvicinato generazioni diverse, linguaggi differenti, storie rimaste separate per troppo tempo. In questo senso, più che una mostra, è stata un ponte: capace di ricucire ciò che era rimasto disperso e di restituire alla Calabria un pezzo fondamentale della sua identità artistica.

