Editoriale

Il Sud di domani è già qui. E “quello solito” è in difficoltà

Il procuratore Nicola Gratteri e l'arcivescovo di Napoli don Mimmo Battaglia. Due uomini di un meridione pulito che sta scalando le classifiche in vari campi, mettendo in difficoltà quel sud vecchio, costretto (vedi le elezioni in Calabria) ad andare a “facce pulite” in prestito, non essendo più spendibili e presentabili le proprie (ASCOLTA L'AUDIO)

 

di Pino Aprile
25 luglio 2021
09:20

Cosa hanno in comune Nicola Gratteri, 63 anni, procuratore capo di Catanzaro, e Domenico Battaglia, 58, arcivescovo metropolita di Napoli, per tutti e per sua scelta, “don Mimmo”?

Sono entrambi sulle prime pagine dei giornali, nei tiggì, per la libertà e la competenza con cui si esprimono sui temi della giustizia e del sociale. Ok, e lo sappiamo.
Sono entrambi molto diretti, indipendenti: Gratteri non appartiene a nessuna delle correnti in cui si dividono i magistrati e in cui si costruiscono e calibrano le carriere; metodo fortunatamente non perfetto, se sono riusciti a farne a meno il procuratore capo di Catanzaro e altri esponenti di primo piano del mondo giudiziario.
Battaglia è prete degli ultimi, è arrivato al “pallio” (l'indumento degli arcivescovi metropoliti), fuori dalle diplomazie del potere vaticano: “prete di strada” lo chiamavano, per il suo dedicarsi agli emarginati, ai tossicodipendenti. Quando, nel 2016, per volere di papa Francesco, divenne vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant'Agata de' Goti, prima andò dai minorenni detenuti nel carcere ad Airola, poi entrò nella cattedrale di Cerreto, per insediarsi. Quattro anni dopo, il Papa lo nominò arcivescovo metropolita di Napoli. Dato il tratto poco curiale, parve ad alcuni come se fosse arrivato uno scugnizzo con i jeans strappati. Anzi, perché dalla Calabria (e taccio sulle opinioni calabro-napoletane e viceversa), “tamarro”... Tanto che ci fu chi dette maliziose interpretazioni al fatto che il sangue di san Gennaro non si sciolse dopo la nomina di don Mimmo.

In comune, Gratteri e don Mimmo hanno i tempi: fare la cosa giusta al momento giusto. Nella stessa settimana, il procuratore Gratteri ha fatto a pezzi la riforma della Giustizia varata dal governo Draghi, firmata dalla ministra Marta Cartabia, la stessa che, con la complicità (ops..., errata corrige: si dice “collaborazione”) della ministra per le Colonie (ops..., errata corrige: per il Mezzogiorno), la collaborazionista Mara Carfagna, ha creato una commissione per migliorare l'efficienza delle Procure meridionali (solo quelle), però escludendo dall'elenco dei consulenti, i rappresentanti della Procura più efficiente d'Italia, l'unica che nel periodo pandemico ha smaltito più processi di quanti doveva: quella di Catanzaro. Le obiezioni di Gratteri hanno trovato conferma nell'analisi di alcuni dei maggiori giuristi, ma normalmente estranei all'amministrazione del ministero. Insomma, per un docente universitario, un avvocato di grido, un ex membro della Corte Costituzionale è più facile criticare la titolare del ministero della Giustizia; molto meno per un magistrato, che da quel ministero dipende: infatti i tartufismi, i d'altronde-pertanto-e-quantunque di autorevolissimi giuristi si sprecano. Gratteri e pochi altri hanno fatto capire con parole semplici, alla portata di tutti noi, che la riforma Cartabia forse ridurrà il numero dei fascicoli e processi in sospeso nei tribunali, ma a prezzo di maggiori possibilità per i delinquenti di farla franca e minori possibilità per le vittime di avere giustizia.

A distanza di pochi giorni, don Mimmo scrive una lettera pastorale in cui analizza il Pnrr, il Piano nazionale di rilancio e resilienza inviato dal governo Draghi alla Commissione europea e ne mette a nudo la logica terribile da cui è nato (“quella cultura senza pensiero e priva di generosità che è diventata parola avvelenata in taluni paladini della produttività”, si legge nella lettera di don Mimmo): nel Piano per spendere i tantissimi soldi che l'Europa manda per aiutare chi sta peggio, “manca qualcosa”, avverte don Mimmo, “lo sguardo fiducioso della gente, per esempio”; manca “la preghiera laica della vicinanza ai più deboli”; manca “il Sud nella sua specificità di questione morale e politica e, quindi, democratica. E se manca il Sud in quanto tale, mancano anche i poveri nella loro drammatica peculiarità. I poveri in carne ed ossa, uomini, donne e bambini, volto per volto, nome per nome”... E seguono parole limpide sulla politica che illude e manipola, usa il Sud come riserva di voti, gli promette giustizia e lo abbandona.


Sono le cose che avremmo dovuto ascoltare dai presidenti delle Regioni del Sud, dai ministri del Sud: concetti chiari, espressi con frasi semplici, di quelle che non consentono a chi vuole intortarti, di cavarsela (quando li sgami), dicendo «non hai capito» (colpa tua...). Invece abbiamo politici e membri del governo meridionali che cercano di convincerci che, “in fondo”, se al Sud viene negato quanto spetterebbe delle risorse del Recovery Fund, non è poi un gran danno, perché poteva andare peggio e quel che arriva è pur sempre “tanta roba”. Insomma la rinuncia al diritto con l'esortazione ad “accontentarsi” del meno: di un'alta velocità che non è quella che si dà ai cittadini di serie A, pure con i soldi di quelli di serie B, ma sempre un po' meglio di prima è (forse, quando sarà, se sarà); a una assistenza sanitaria più scarsa o da schifo, ma puoi sempre andarti a curare altrove... È l'educazione alla minorità, a essere meno e come tali a esser trattati.

Sono ateo, ma una delle pagine della Bibbia che amo citare più spesso è l'incredibile trattativa fra Dio e Abramo, quando il patriarca apprende che gli “Angeli del Signore”, suoi ospiti, sono venuti a distruggere Sodoma e Gomorra, per “le loro nequizie”. Ma ci fossero solo 50 giusti, nelle città, colpirai anche loro come gli altri? Tratterai il giusto come l'empio, Signore? E Dio accetta: va bene, per quei 50, salverei le città. E ne mancassero 5, di quei 50, per 5 in meno punirai i giusti come i malvagi? E va bene, accorda Dio, 45 o 50, non cambia nulla. E di cinque in cinque, la trattativa prosegue sino a: “se vi fossero solo 10 giusti?”. “Pure solo per 10, salverei le città” (io, ad Abramo, capace di scendere cinque volte di prezzo, non venderei mai una macchina usata!). Non ce n'erano manco dieci e sappiamo come andò a finire.

Quanti giusti ci salveranno? Ci sono al Sud quanti ne servono? I segni dicono che sta accadendo qualcosa nelle università meridionali che scalano le classifiche; nel mondo del lavoro che guarda all'innovazione e senza confini, pur con tutti i problemi di infrastrutture carenti, credito difficile; nella capacità e nelle ragioni di aggregarsi per difendere la salute, la vita e il lavoro da Taranto alla Terra dei Fuochi; o la propria libertà dalla oppressione mafiosa, con un sempre più diffuso ricorso alla denuncia («perché lo Stato ora c'è», mi rispose Sara Scarpulla, cui hanno ucciso il figlio nella “Terra dei Mancuso di Limbadi”, ma in cui i Mancuso stanno sempre più scomodi, e sotto processo al Rinascita Scott...). Tocca tornare a dirlo, perché si corre il rischio di considerare la presenza dei Gratteri, dei don Mimmo, casi isolati, di spessore quanto vuoi, ma destinati a passare e a lasciare le cose “come erano”. Vogliono convincerci di questo, ma non è così, perché sta cambiando, a Sud, lo sguardo su se stessi, la coscienza dei diritti, del valore di quel che si è (e anche di quel che si era, prima che ci dicessero che siamo la parte sbagliata di un Paese nato male), che si ha diritto ad avere, perché non si è meno e sempre meno si accetta un accomodamento magari un po' migliore di prima, ma comunque e ancora al ribasso (modello ministra Carfagna: certo, al Mezzogiorno spetterebbe ben più del 60 per cento delle risorse del Recovery Fund, ma anche il 40 non è male...).

Quel tempo sta finendo: chi vede questi fenomeni di consapevolezza sempre più numerosi come ognuno a sé stante soffre di una forma di cecità. Unisca i puntini, vedrà il volto del Mezzogiorno di domani che si sta costruendo oggi. Difficile crederci, standoci dentro, perché “il solito Sud” ancora prevale, ma sempre più a fatica, costretto persino, vedi le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale calabrese (ma altrove non è molto diverso), ad andare a “facce pulite” in prestito, non essendo più spendibili, presentabili le proprie.

I segni ci sono, ma bisogna imparare a coglierli (“Vede solo chi sta cercando”): è facile notare che la nazionale di calcio vittoriosa agli europei senza perdere nemmeno una partita è la più piena di terroni di sempre, ma quanti sospettavano che le Olimpiadi sarebbero cominciate con due medaglie di atleti pugliesi ignoti ai più, che ci avrebbero resi, per un po', secondi in classifica, dopo la Cina e davanti al resto del mondo?
Il Sud c'è, sta arrivando. Ricett 'o pappece a la noce: damme tiemp ca te spertose (disse il bruco alla noce: dammi tempo che faccio il buco nel guscio).

Giornalista
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