Editoriale

Se il Sud e la Calabria giocano la partita degli altri, non la propria

Sui soldi del Pnrr la quasi totalità dei parlamentari meridionali tace e pure la scelta dei candidati a presidente della Regione è stata fatta altrove. Quasi sempre, quando il Mezzogiorno si impone all'attenzione nazionale è perché ha perso la pazienza (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Pino Aprile
1 agosto 2021
06:58

Perché il Sud non è protagonista del suo destino e gioca di rimessa, e in ruolo da gregario, partite decise altrove? Quand'è l'ultima volta che la Calabria ha dettato la sua volontà e l'ha fatta valere al Paese? Pure la scelta dei candidati a presidente della Regione è stata fatta da altri e per quello del centrodestra si è dovuta attendere “la conferma da Roma”, o Milano, o quel che l'è, comunque da fuori; e per gli altri non è andata molto diversamente.
E com'è che alle elezioni nazionali i candidati del Nord imposti al Sud sono legioni (metà dei capilista del Pd al Sud, due tornate fa, erano del Nord, mentre al Nord erano tutti del posto) e il contrario entra come eccezione del Guinness dei primati?
Il potere occupa gli spazi, i subordinati fanno largo e si contendono quello che rimane, quindi si scannano fra loro per il meno e, per prevalere sui loro pari (i meno), si guadagnano la complicità dei più potenti, sostenendone le pretese contro le ragioni dei subordinati.
Vi sembra troppo teorico, troppo arzigogolato? E allora come spiegate che una ministra per la difesa dei diritti del Mezzogiorno ammetta che al Sud dovrebbero andare, secondo le indicazioni dell'Unione Europea, “più del 60 per cento” (un modo riduttivo per dire: circa il 70) delle risorse del Recovery Fund, ma che è un gran risultato averne il 40, non fa niente se pure taroccato (e che poi si scopre essere addirittura il 10, se va bene il 16)?
E come ve lo spiegate che la quasi totalità dei parlamentari del Sud facciano il coro del consenso o tacciano, dinanzi a questa sottrazione addirittura dichiarata? Secondo voi, la ministra resterebbe al suo posto se agisse diversamente? Vi ricordate cosa si scatenò contro il suo predecessore, Peppe Provenzano, quando osò dire apertamente una banalità che tutti sanno e non si deve dire: Milano prende e non restituisce?
Allora, quand'è che il Sud, la Calabria hanno imposto la loro volontà e il rispetto dei propri diritti al Paese? Se Milano e il Veneto vogliono le Olimpiadi invernali, il Paese deve pagargliele (non crederete che davvero “fanno da soli”! Già è partito il miliarduzzo d'ordinanza); se a Napoli si fanno le Universiadi, non arriva un euro; se Sicilia e Calabria vogliono il Ponte, il Paese dice no, da mezzo secolo (per la serie: le pretese dei forti sono ragioni e le ragioni dei deboli, pretese).
Andate indietro, con la memoria: quasi sempre, quando il Sud si impone all'attenzione nazionale, è perché ha perso la pazienza: l'occupazione delle terre, la rivolta di Reggio Calabria... E la politica nazionale risolve con i carabinieri, gli arresti, i processi (vedi i braccianti uccisi a Melissa dalla Polizia: Angelina Mauro aveva 24 anni, Giovanni Zito 15, Francesco Nigro 29) o i “risarcimenti”, quando non si riesce con la forza (il nuovo centro siderurgico che poi diventa porto a Gioia Tauro, l'università a Cosenza, la fabbrica mai entrata in funzione a Saline Joniche).
Quindi il Mezzogiorno per farsi sentire deve “esplodere”, a conferma che è “una polveriera”? Il Sud, così, è comunque e sempre riconducibile a una questione di ordine pubblico (la guerra civile che seguì all'occupazione sabauda per unificare il Paese, con la proclamazione di stati d'assedio ed eccidi per rappresaglia è stata raccontata come “Brigantaggio”).
Allora: quando il Sud, la Calabria hanno saputo piegare, politicamente e con ragioni forti, i poteri nazionali al rispetto dei diritti dei meridionali? Vengono in mente poche cose: le rivelazioni di Francesco Saverio Nitti sul saccheggio post-unitario del Mezzogiorno e il varo della sua “Legge per Napoli”, per l'epoca rivoluzionaria, che divenne il modello per le successive leggi per intere regioni meridionali. O la Cassa per il Mezzogiorno, per l'azione politica del foggiano Donato Menichella, governatore della Banca d'Italia ed ex già presidente dell'Iri. O, impresa che ancora oggi sa di miracolo: la realizzazione dell'Acquedotto pugliese, il più lungo del mondo, grazie al visionario progetto di un ingegnere e alcuni parlamentari del Sud. Iniziata nel 1906, nove anni dopo, a colpi di piccone e senza impianti di risalita (solo millimetrica caduta di livello per chilometro) faceva zampillare in piazza, a Bari, l'acqua del Sele, catturata alla sorgente in Irpinia, nel monte Paflagone. Per avere un'idea dell'opera: un secolo dopo, nel 2006, si decise di fare l'Expo a Milano, ma in nove anni, nessuna delle grandi opere progettate venne realizzata e persino i capannoni della Fiera erano incompleti al 40 per cento, il giorno dell'inaugurazione, mentre quello della Lombardia fu chiuso e rifatto, perché non funzionava niente. Eppure, a disposizione c'era qualche attrezzo migliore del piccone.
E la Calabria? Le autostrade le ha inventate l'Italia e il mondo le ha copiate (anche la parola per indicarle, in Francia, Germania, Spagna..., è la traduzione di quella italiana), ma furono costruite solo al Nord, con i soldi di tutti gli italiani. Giacomo Mancini, divenuto ministro dei Lavori Pubblici, chiese all'Iri (Istituto ricostruzione industriale, nato dopo la prima guerra mondiale, per risanare con i soldi pubblici le aziende private fatte fallire dai proprietari) di progettare la Salerno-Reggio Calabria. Ne ebbe un rifiuto e uno sberleffo. Era possibile, perché la politica nazionale era contro un progetto così ambizioso per il Sud: le autostrade ai terroni? Ma siamo matti?
Ora immaginate una Carfagna o altro ministro meridionale al posto di Mancini: «Ci ho provato, adesso ci sono altre priorità, ma intanto ho ottenuto che facciano una nuova scuola a Melicuccà». Il socialista cosentino era di altra pasta: ordinò all'Anas, alle dirette sue dipendenze, di fare l'opera. L'allora capo dell'azienda, su istigazione della Democrazia Cristiana (al governo con i socialisti, ma contraria alle iniziative di Mancini, che contava di far dimettere presto), cominciò a traccheggiare e il ministro calabrese lo sostituì in poche ore. Il nuovo capo dell'Anas, capì l'antifona e avviò i lavori. Potete pensarla come volete su quell'autostrada, ma c'è e ha avvicinato la Calabria e la Sicilia all'Europa. Dicevano che erano soldi buttati, perché “non c'era la domanda”, i terroni non avevano le auto, perché fare l'autostrada? La cosa valeva al contrario: perché comprare un'auto se non hai la strada? Infatti, appena realizzata la Salerno-Reggio, in pochi anni l'indice di motorizzazione del Sud superò quello del Nord.
Mancini la pagò cara: venne scatenata contro di lui una campagna di diffamazione, durata anni, il blocco politico nazionale gli chiuse tutte le porte e lo ricondusse a una dimensione di potere solo cittadina (sindaco di Cosenza), al più regionale. Giacomo Mancini dette un'autostrada al Sud, ma su quella finì la sua carriera politica.
Ora posso ripetere le domande con cui ho cominciato questa riflessione?
Perché il Sud non è protagonista del suo destino e gioca di rimessa, e in ruolo da gregario, partite decise altrove? Quand'è l'ultima volta che la Calabria ha dettato la sua volontà e l'ha fatta valere al Paese?
Voi vedete i politici meridionali, non importa di quale partito, fare il diavolo a quattro, perché al Sud rubano i soldi del Recovery Fund, promettono cifre che non sono nemmeno presenti nel Pnrr, da mezzo secolo ci prendono in giro con il Ponte sullo Stretto, da più di dieci anni, con i commissari della Sanità, riescono a distruggere salute, diritti e bilanci dei calabresi, con la scusa che i nativi facevano e farebbero di peggio (per ora, però, è dimostrato il contrario)?
Per fare le cose per gli altri, si pagano prezzi; oppure si fa pagare agli altri il prezzo per fare le cose per se stessi.

Giornalista
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