Si è alzato il vento terrone e tanti non hanno niente di meridionale da mettersi
C’è un’epidemia di “meridionalite” tra i campioni politici del salto della quaglia ma questa falsa attenzione verso il Sud mostra imbarazzanti contraddizioni tra chi in realtà continua a dirottare verso Nord tutte le risorse. La parodia del “meridionalismo padano” è solo un paravento sbrindellato dietro il quale si prepara la secessione dei ricchi (ASCOLTA L'AUDIO)
È scoppiata una epidemia di meridionalite. Ora, dando per scontato che siano tutte conversioni vere, folgorazioni sulla via di Matera (in treno, magari), qualche furbacchiotto che si terronizza al volo per convenienza ci sarà, per pura osservazione statistica (nel nostro universo, quantisticamente, tutto è più o meno probabile, niente certo). Quindi, cosa sta succedendo, e perché?
Eugenio Bennato, come al solito, per quel che riguarda il sentire del Sud, aveva capito e predetto tutto già nella sua “Grande Sud”, Sanremo 2008: «E sarà quel racconto/ E sarà quella canzone/ Che ha a che fare coi briganti/ E coi santi in processione/ Che ha a che fare coi perdenti/ Della civiltà globale/ Vincitori della gara/ A chi è più meridionale».
E se oggi la gara dei perdenti a chi è più meridionale vede prevalere folle di disperati dall'Africa e profughi dalle guerre dell'Est, fra i terroni propriamente detti c'è la gara fra chi è “veramente meridionalista”, o “più meridionalista”. Se lo fanno, vuol dire che la cosa conviene, rende. Per comprenderlo, non si deve far caso allo spessore ('nzomma...) umano e politico di tanti volenterosi comprimari in cerca di sistemazione, perché è proprio la migrazione a orologeria degli opportunisti che segnala se un fenomeno politico, sociale, culturale è in crescita o in calo.
Ci sono veri e propri professionisti del salto della quaglia; in politica la cosa è più evidente: lo vedi dai cambi in corsa e dalle strategie; a volte, vince chi per primo lascia il gruppo che appare ancora forte, ma sta per franare (hanno antenne sensibilissime gli opportunisti...), mentre chi migra quando la crisi è ormai palese, vale meno sul mercato, perché la concorrenza è tanta e gli approdi possibili sempre più scarsi. Altre volte (vedi il governo che si regge con pochi voti di maggioranza), vince chi cambia per ultimo e all'ultimo minuto, quando quel voto in più diviene il più prezioso.
Insomma, il salto della quaglia è una vera e propria arte, una professione. In fondo, si tratta di imitatori e parassiti di idee altrui; cosa che riesce molto più facile quando non si rischia di essere confusi dalla presenza di opinioni proprie, se non quella di essere comunque e sempre sulla cresta dell'onda, di qualunque genere sia l'onda. Le loro peregrinazioni vanno osservate e studiate, perché fanno surf fra le correnti del potere via via dominante, anticipandole. Si impara.
A volte, ci si limita a far proprie idee altrui, frasi, proposte; quindi, non cambiando campo, ma portando nel proprio quello che funziona altrove. Una sorta di appropriazione indebita di pensiero, che viene aggiunto senza radici a quanto, magari, è addirittura all'opposto: la Lega paladina dei diritti dei terroni, per dire; o un esempio che che mi tocca da vicino: il concetto di equità territoriale è alla base e nel nome di un Movimento politico sorto due anni fa, sulla scorta di miei scritti e riflessioni, e della volontà, dell'iniziativa e della condivisione di centinaia di persone (divenute presto migliaia).
In fondo, non è che una richiesta e una azione per ottenere quanto già stabilito dalla Costituzione e mai applicato: a tutti i cittadini le stesse opportunità, gli stessi diritti, la stessa considerazione. La più vasta area del continente europeo in cui questo principio di civiltà è violato è il Mezzogiorno d'Italia. Quindi, l'equità territoriale contiene il meridionalismo (inteso come il movimento storico, culturale e politico per eliminare la Questione meridionale, ovvero la discriminazione ultrasecolare a danno del Mezzogiorno, privato di strade, ferrovie, investimenti pubblici, diritti), ma non si riduce al meridionalismo, perché ovunque la qualità umana di un nostro simile viene diminuita, tutti siamo in pericolo: si comincia sempre con qualcuno (gli ebrei, gli zingari, i terroni, gli extracomunitari..., poi tocca a mano a mano agli altri).
L'equità territoriale, quindi, è principio universale, e pertanto è meridionalista; ma non può pretendere per nessuno più di quello che è riconosciuto uguale per tutti, dalla Costituzione o dalla Carta dei diritti umani; è il contrario del razzismo leghista dichiarato e di quello non dichiarato del Pun (il partito unico del Nord di fatto, che va dalla Lega al Pd), secondo cui la politica dev'essere “territoriale”, nel senso che i rappresentanti locali devono portare sempre più risorse pubbliche a beneficio delle zone di provenienza, anche se questo impoverisce il resto del Paese e, alla lunga, lo spacca: andiamo da “Prima il Nord”, “Prima il Veneto”, “Prima Milano” a “tutto alla 'locomotiva', anche quello che spetta al Sud”.
Negli ultimi mesi, abbiamo sentito citare l'equità territoriale (attribuendosela) esponenti del Pd, del M5S, del governo, che però si fermano all'espressione (suona bene), senza tradurla in pratica: dirlo non costa niente. Tanto da parlare di equità territoriale, ma dimezzando le risorse del Recovery Fund che, secondo i criteri di Bruxelles, sono dovute al Sud. O addirittura, come Giuseppe Conte in cerca di consensi al Nord da capo del M5S, parlando di equità territoriale per risolvere la inesistente Questione settentrionale, inventando 200mila bambini poveri a Milano (non arrivano a quel numero manco tutti insieme, poveri e no). Insomma, siamo alla parodia con il “meridionalismo padano”.
Quindi cos'è questa epidemia di meridionalite? I partiti storici sono più o meno alla frutta: non si schiodano da percentuali che rendono tutti troppo deboli per essere egemonici e ancora troppo forti per poter impedire ad altri di esserlo. Insomma: troppo deboli per guarire, troppo forti per morire.
Tutti, tranne uno: il Movimento 5 stelle, che meno di tre anni fa divenne il primo partito italiano, facendo man bassa di voti a Sud. Dove ora è in caduta libera. Quindi, la corsa degli altri è trovare il modo di ereditare i consensi meridionali in uscita dal M5S.
Pareva che “la quadra” (orribile espressione divenuta popolare per bavosa divulgazione di Bossi) l'avesse trovata Matteo Salvini, con la sua campagna di conquista del consenso dei terroni immemori di trent'anni di insulti e della sua condanna definitiva per razzismo contro i meridionali. Aveva fatto scalpore la sua elezione a senatore a Reggio Calabria (come dire: Dracula eletto a capo della banca del sangue dagli emofiliaci), ma si scoprì che lo era diventato con i voti di altri attribuiti a lui e la sua nomina decadde.
Ma la valanga di voti sempre annunciata non si è vista (di fatto, la Lega ha preso, al Sud, voto più, voto meno, i consensi che ha quasi sempre preso il partito di estrema destra, quale che fosse, dal Movimento sociale in poi). E questo ha messo in crisi, nella Lega, il teorema di Salvini (ora in difficoltà, anche per la vicenda di droga che coinvolge il suo braccio destro, Luca Morisi), facendo riemergere il vetero-padanismo incarnato da Giancarlo Giorgetti, oltretutto pure ministro: «Noi ci chiamiamo Lega e in qualche modo ci rifacciamo alla Lega Lombarda delle origini». E se non fosse abbastanza chiaro: la Lega è «un gruppo di persone che amano la propria terra e si mettono insieme per fare il bene della propria gente». Ed è andato a dirlo a Varese, il sancta santorum della Lega.
Il che farebbe presagire, vero o no che sia, un ritiro salviniano dal Mezzogiorno, visto che le Regioni ricche e predatorie, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, intendono approfittare del governo Draghi per far passare l'Autonomia differenziata, l'ennesima, clamorosa rapina di risorse pubbliche, a danno del resto del Paese, tale che, secondo l'appello ai presidenti della Repubblica e delle Camere parlamentari di decine di docenti universitari, scrittori, professionisti e firmato da 60mila persone, si tratterebbe della “Secessione dei ricchi”.
Il Mezzogiorno, così, per sentimenti meridionalisti sempre più diffusi, delusione dei cinquestelle, minor impegno della Lega, diventa la più vasta prateria di voti in libertà: è a Sud che si faranno i giochi. E parlamentari, dirigenti politici regionali, per tardiva ma convinta scoperta, o perché ormai senza riferimenti (specie se espulsi o usciti dai partiti con cui furono eletti) e in cerca di una base, raccattano qualunque gruppuscolo “sappia di Sud”, per intestarsene le bandierine. Una operazione di reciproco interesse, perché il mal comune dei gruppuscoli meridionalisti è sempre stato l'essere discriminati, dipinti come retrivi, nostalgici, secessionisti (specie quelli siciliani), mai presi davvero sul serio, ascoltati. E ora hanno l'occasione di contare, di avere voce in campagne elettorali, forse in Parlamento. Si tratta di un mondo complesso, molto diviso al suo interno, nella “gara/ A chi è più meridionale”; il che dovrebbe, al solito, favorire gli opportunisti disposti a utili accomodamenti (per loro) e a rendere ancor più isolati gli irriducibili che non accettano una Sicilia non indipendente, o un Sud non indipendente, vedendolo nei confini dell'ex Regno delle Due Sicilie (cosa, per dire, che non è sostenuta dal Movimento dei neoborbonici, più interessati al ristabilimento della verità storica e dei diritti uguali per tutti).
Ma questo è uno scendere nel dettaglio. L'epidemia di meridionalite è profonda ma minoritaria fra persone davvero consapevoli, informate e motivate, ma molto superficiale nella sua più vasta diffusione, solo perché è arrivato un tempo in cui “Sud conviene”. E la politica ha un problema: è arrivato il vento terrone e in troppi non hanno niente di meridionale da mettersi. Così, pur se al mercato degli scampoli... Turandosi il naso: è un buon segno.