La Calabria che adoriamo: un po’ santa, un po’ puttana

Il futuro sta tutto nella capacità delle nuove generazioni di reagire e rompere l’attuale condizione della nostra terra. Bisogna crederci e lottare affinché questa terra possa cambiare senza perdere le sue origini, le sue culture, le sue identità

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di Franco Laratta
2 gennaio 2023
14:21

Buongiorno Calabria, terra che adoriamo. Buongiorno a te che sei madre e matrigna, piccola e grande, santa e puttana, terra dei mille addii e dei pochi ritorni.
Buongiorno Calabria, ‘sfasciume pendulo sul mare’, terra di sole e di vento, di quiete e di tempesta, di albe meravigliose e di tramonti infuocati.
Buongiorno Calabria, terra inquieta, detestata dai calabresi, amata da santi e navigatori, da filosofi e poeti. Terra dei mille cumuli di spazzatura e di sabbie bianche che bruciano sotto il sole cocente della nostra infinita estate.

Buongiorno e buon anno Calabria, “una regione incompiuta in tutti i sensi”, scrive l’editore Domenico Maduli nel suo editoriale del 31 dicembre, per poi proseguire: “la Calabria che ha voglia di connettersi, unirsi e ritrovarsi”.
Ma cosa eredita il nuovo anno da quelli che l’hanno preceduto? Forse poco, forse nulla, forse troppo. Ma sicuramente tanta incertezza, paura, la grande fuga dei giovani, un devastante spopolamento, la povertà che avanza, le classi dirigenti che arretrano, la mancanza di visione e di futuro.


Questa è la terra di Cassiodoro e Gioacchino da Fiore, Bernardino Telesio e Tommaso Campanella, Corrado Alvaro e Leonida Repaci. Ma dei quali non frega niente praticamente a nessuno. 

“Ho la presunzione di affermare che in nessun’altra parte d’Europa la natura ha tracciato in modo così magnifico le linee che il genio e l’opera umana devono seguire o gli sforzi dell’arte migliorare”, scrive il letterato tedesco Richard Keppel Craven nel 1821.

Calabria terra delle mille tragedie e delle infinite sciagure. “La Calabria è il paese dei terremoti: ogni città, ogni terricciuola ti presenta vestigie di rovine, e non passa anno che nella stagione di primavera o di autunno la terra non tremi. C'era stato il terremoto grande del 1832, e tutti ne parlavano con terrore, e mi mostravano le rovine in vari luoghi, e narravano fatti dolorosissimi. “Ah,” mi diceva uno, “se non ci fossero i terremoti ed i briganti, la Calabria sarebbe il primo paese del mondo” (Luigi Settembrini, in Ricordanze della mia vita, del 1879).

Ma la realtà è che la peggiore sciagura della Calabria non sono tanto i terremoti, le alluvioni, i rifiuti, l’inquinamento, i veleni, la corruzione, la povertà e l’eterna emigrazione, e nemmeno la sanità ormai al collasso, la disoccupazione e l’ignoranza galoppante. Perché c’è di peggio. Ad esempio la totale incapacità delle classi dirigenti, della politica dell'economia, della cultura, di avere una visione della Calabria e di lavorare insieme per realizzarla, per costruire un futuro migliore

È da secoli che va così, è almeno da fine Ottocento, e fino a tutti gli anni ‘70, che la terra calabrese ha fornito braccianti, manodopera, giovani vite, per ricostruire e fare ricca l’Europa, il Nord Italia, le Americhe. Un progresso costruito con il sangue dei calabresi. Ma negli ultimi cinquant’anni le cose non sono migliorate, il regionalismo ha finito per aggravare le condizioni della Calabria che ha così dimostrato una pressoché totale incapacità di autogoverno. Salvo qualche rara eccezione, le classi dirigenti della nostra regione sono state del tutto inadeguate e incapaci, mancando di competenza, qualità, prospettiva, visione.
Ma aveva profondamente ragione il grande stilista Gianni Versace: “I calabresi vivono una realtà aspra, crudele a volte; ma ritengo sia l'ora di ribellarsi a quel complesso d'inferiorità di cui la maggior parte dei calabresi sono spesso vittime”.

Ecco, il complesso di inferiorità, verso gli ‘stranieri’ e verso il potere in tutte le sue forme. Come spiegare diversamente la ‘Calabria leghista’ se non con il ‘complesso delle vittime’? Se non addirittura con la ‘sindrome di Stoccolma’? Come spiegare una persistente omertà, una diffusa complicità con le cosche malavitose e una forma accentuata di condivisione delle pratiche profondamente illegali che regnano nella politica, nelle istituzioni, nelle imprese, nella chiesa, nella magistratura?
Come spiegare l’incapacità di reagire ad una condizione di isolamento culturale ed economico che soffoca il futuro di questa terra?

Il futuro sta tutto nella capacità delle nuove generazioni di reagire e rompere l’attuale condizione della nostra terra. Ci sono ottimi segnali, diversi esempi di ragazzi che rifiutano il dannoso assistenzialismo e investono, mettono in piedi imprese, innovano in alcuni settori vitali come l’agroalimentare, le nuove tecnologie, la valorizzazione della natura e del paesaggio. Piccoli ma importanti segnali che trovano ne LaC un deciso sostegno ed un importante megafono. La ‘CalabriaVisione’ è in realtà un progetto, un’idea, un modo per investire nella migliore Calabria. Bisogna crederci, rimanere qui, costruire le strade per il futuro. Reagire. Rompere. Lottare. Affinché questa terra, santa e puttana, possa cambiare senza perdere le sue origini, le sue culture, le sue identità. Ma, come canta Brunori Sas: “La verità è che ti fa paura l'idea di scomparire, l'idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire. La verità è che non vuoi cambiare, che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque cose a cui non credi neanche più.“ 
Sento già tanti rispondere con i loro ‘sì ma’, ‘ma forse’, ‘ma quando’, ‘ma per cosa’…
Ma la risposta ai soliti benaltristi non può che essere: “Inizia da dove sei. Usa quello che hai. Fai ciò che puoi” (Arthur Ashe).

di Franco Laratta
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