Lo scrittore lucano compose I pastori di Calabria nel 1952, mentre si trovava nella punta dello Stivale con Carlo Levi per verificare di persona gli effetti della riforma agraria. Tra le sue parole s’intravede un riflesso che anche oggi può regalare speranza
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C'è una poesia che Rocco Scotellaro scrive nel 1952 e inserisce in una raccolta intitolata Quaderno a cancelli da cui poi prenderà spunto Carlo Levi nel redigere una specie di diario, uscito dopo la sua morte. La lirica del poeta nato a Tricarico, scomparso a trent'anni nel 1953, si intitola I pastori di Calabria e vale la pena leggerla nella sua interezza:
Alle case arse di Paola sul mare
tra i fichi contorti e le fiumare,
che calano dai letti i sassi morti,
i Calabresi scesi dalla Sila
vanno a affondare le mazze nell'acqua:
non è più la pila per le vacche, è il mare.
Scotellaro, in pochi versi, isola un'immagine, insieme prosaica e poetica, che mostra in maniera folgorante, rovesciando il pur presente riferimento alcionio e dannunziano, il carattere della Calabria dei primi anni Cinquanta e che, allo stesso tempo, sembra alludere ai futuri possibili insiti in quel carattere. Il poeta, che scrive mentre si trova in Calabria proprio con Levi per verificare di persona gli effetti della riforma agraria, lascia che tra i suoi versi si intraveda un riflesso.
Da un lato, dunque, c'è il viluppo, fatto di fichi contorti e sassi morti, all'interno del quale il calabrese rischia di confinarsi; dall'altro, la possibilità di sottrarsi a quell'involto, affondare con l'immaginazione oltre la pila per le vacche, l'abbeveratoio, e raggiungere una dimensione quasi impensabile allora, rappresentata dal mare.
L'universo simbolico di riferimento, che pure deve fare i conti con un certo abbandono sentimentale e con la piena coscienza dell'isolamento storico del Sud, segnala tanto la dolcezza della regressione a un mondo povero, ma autentico e protettivo, quanto la necessità di fuoriuscire dall'oppressione e dall'arretratezza.
Insomma, nei limiti del realismo contadino di Scotellaro c'è una matrice umana alla quale si aderisce con affetto, ancor più se, da meridionali, si è fatta esperienza di quella matrice e che consente di sperimentare un sentire, soltanto tratteggiato in Contadini del Sud e altre opere consimili, che fruisce di una speranza, utilissima allora, ma benefica anche oggi, nel pieno del processo consumistico di modernizzazione, sempre che si sappia trovare il modo per interpretarla e reinventarla.