Chiariamo subito una cosa, senza tremare la mano, e senza dover pagare dazio a chi pensa di possedere verità assolute, senza neanche verificarle. La cosiddetta “transizione ecologicanon è una rivoluzione morale, è un modello di business. E quando arriva nei comuni poveri del Sud, come Cosenza, smette perfino di fingere e si mostra per quello che è. La Giunta municipale ha deciso che le auto elettriche parcheggeranno gratis sulle strisce blu, mentre tutti gli altri continueranno a pagare. Una misura presentata come “sostenibile”, “green”, “moderna”. Ma che in realtà è solo la solita norma classista, regressiva e profondamente ingiusta, come tutte le idee di un pensiero unico violento sempre con chi non può accedere al benessere.

Perché in una città dove il reddito medio è tra i più bassi d’Italia, chi può permettersi un’auto elettrica? Una fetta così piccola di popolazione che sicuramente non comprende l’operaio, il professore precario o il pensionato con la Panda del 2006. Le auto elettriche, oggi e per molti anni a venire, sono un bene da classe medio-alta, spesso altissima. E chi le guida, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha alcun problema a pagare un parcheggio, anzi potrebbe pagare o parcheggi ad almeno altre 100 macchine al giorno senza perdere niente.

Il risultato è grottesco ed anche ridicolo. L’operaio che fatica ad arrivare a fine mese paga la sosta sotto casa, mentre il SUV elettrico da 70 mila euro riposa gratuitamente davanti al suo portone, pagato dal papà notaio al figlio che non studia. Io non capisco chi possa essere così demente da vederci sostenibilità, perché questa è umiliazione sociale istituzionalizzata.

Il dogma verde ha una sua base logica: la colpa è sempre dei poveri. Questa misura è perfettamente coerente con l’ideologia che la ispira: il neoliberismo verde, dove la povertà non è una condizione, ma una colpa morale che deve essere anche messa in ridicolo. Se sei povero, è perché non hai fatto “scelte giuste”. Se guidi una Panda a benzina, è perché non sei “virtuoso”. Se non puoi permetterti l’elettrico, allora meriti di pagare di più. È la stessa logica che trasforma i diritti in premi e le tasse in punizioni simboliche.

Non si cambia il sistema: si selezionano i cittadini, e si schedano ed offendono i lavoratori. E qui va detto senza ipocrisie: il cambiamento climatico, così come viene usato nel dibattito politico, non è solo una questione ambientale, ma una grande narrazione economica. Non un dibattito aperto, non una discussione complessa, ma un dogma.
Chiunque osi porre domande viene subito messo a tacere, non con argomenti, ma con scomuniche morale. Da un lato, si chiede ai cittadini comuni di salvare il pianeta però pagando di più rinunciando ed adattandosi alle esigenze delle classi più agiate.

Mentre le grandi concentrazioni di capitale continuano indisturbate, anzi: prosperano, tra industrie belliche, colossi digitali e logistica globale che inquinano più in un minuto di quanto un operaio con una panda può fare in un miliardo di anni. L’idea che una frazione minuscola dell’umanità, vissuta per pochi millenni, possa essere l’unico fattore decisivo nel destino di un pianeta vecchio di miliardi di anni viene trattata come verità rivelata, non come ipotesi scientifica da discutere. E chi non si adegua è un eretico. Ma guarda caso, ogni soluzione proposta coincide sempre con un trasferimento di ricchezza verso l’alto. Non si salva infatti il pianeta, si opera un redistribuzione al contrario.

Auto elettriche, bonus selettivi, parcheggi gratuiti per pochi, costi crescenti per tutti gli altri: questa non è una politica ambientale, è mondo come un altro in cui si toglie ai molti per concedere ai pochi. Si colpisce chi non ha alternative. Si premia chi è già avanti. E tutto questo mentre si recita il mantra della “salute pubblica” e della “vivibilità”. Cosenza, come altre realtà simili, non ha bisogno di lezioni etiche dall’alto e di moralizzatori da 100,000 euro annui, ha bisogno di politiche che non umilino i suoi cittadini più fragili. Perché quando il lusso parcheggia gratis, chi davvero fatica paga il conto, non è progresso. È solo potere, arrogante ma anche ridicolo e stupido.