Pemba, giugno 2022. Da Johannesburg raggiungo Pemba (capitale della Provincia di Cabo Delgado) con circa 3 ore di volo. Sceso dall’aereo, noto che il piazzale dello scalo è animato da un via vai di militari, veicoli ed equipaggiamenti vari. Ci sono anche un paio di elicotteri Augusta della Force Aérienne Rwandaise e uno Shaanxy Y8 delle forze aeree tanzaniane. La presenza di truppe straniere è la conferma che né l'apparato di sicurezza mozambicano né le compagnie militari private reclutate (Wagner russa e DAG sudafricana) sono riusciti a contrastare la minaccia terroristica Ansar Al-Sunna Wa Jamma - nota anche come Al-Shabab (da non confondere con Al-Shabab in Somalia) - nella regione settentrionale del Paese.

I mercenari russi e sudafricani hanno peggiorato la situazione, uccidendo numerosi civili disarmati e molestando giornalisti e operatori umanitari. Il presidente Filipe Nyusi ha chiesto il supporto del Ruanda e della Comunità per lo Sviluppo dell'Africa Meridionale (SADC), per contenere l’insurrezione, nonché agli Stati Uniti e all'Unione europea per le missioni di assistenza alle forze di sicurezza. La presenza di contingenti europei e statunitensi in Mozambico rappresenta la soluzione a medio-lungo termine per contrastare la minaccia terroristica e, sotto un profilo geo-politico, mitiga il rischio che Maputo si rivolga al Cremlino o a Pechino per avere sostegno militare.

Uscito dall’aeroporto, incontro Farooq, un ingegnere libanese che lavora da alcuni anni in una multinazionale petrolifere attiva nel Paese; mi racconta che, nonostante gli attacchi terroristici in atto nella provincia di Cabo Delgado, la società per cui lavora non ha interrotto le attività estrattive. Leggo nei suoi occhi una certa preoccupazione: pochi giorni prima, i miliziani di Al-Shabaab hanno colpito anche le città più a sud a ridosso di Pemba e, nel corso di quegli attacchi, sono rimaste uccise diverse unità del personale di sicurezza di alcune multinazionali. L’insurrezione islamista che ha travolto la provincia di Cabo Delgado, causando oltre 4.000 morti e più di 800.000 sfollati, ha suscitato un interessante dibattito tra politici e ricercatori a livello internazionale, che si sono chiesti se la rivolta dovesse inquadrarsi come un'insurrezione locale oppure se vi fossero effettivi legami con il jihadismo in altre aree dell'Africa e del Medio Oriente.

La mancanza di un’assistenza sanitaria di base, di un sistema di istruzione adeguato, l'insicurezza alimentare e gli elevati livelli di disoccupazione sono stati i fattori determinanti per l'ascesa di Al-Shabab nella provincia di Cabo Delgado. Negli ultimi decenni, la provincia di Cabo Delgado, a maggioranza musulmana, è stata emarginata dal governo mozambicano che ha invece privilegiato la popolazione cristiana del Paese e la capitale Maputo, nonostante lo stesso presidente Nyusi sia nato proprio nella provincia di Cabo Delgado, a Mueda. Il malcontento collettivo nella comunità locale ha incentivato il reclutamento di molti giovani nelle fila del gruppo estremista. Con la conquista delle città costiere di Mocimboa Da Praia e Palma, Al-Shabab si è assicurato il controllo marittimo del tratto di mare nel nord del Paese dove la marina militare mozambicana è pressocché assente. Infine, le Forças Armadas de Defesa de Moçambique e i contingenti stranieri hanno aggravato il conflitto perpetrando pratiche di corruzione e abusi dei diritti umani.

I rapporti ufficiali rilevano che le truppe effettuano interventi indiscriminati per combattere gli insorti, impedendo a decine di migliaia di persone di lasciare la provincia: ciò violando la norma di diritto internazionale umanitario per cui il governo ha l'obbligo legale di proteggere i civili sotto il suo controllo. Il conflitto, all’inizio, sembrava una grande rivolta di ribelli che sfidavano lo Stato, denunciando la mancanza di opportunità socio-economiche nella provincia. Successivamente, gli insorti, abbracciando la dottrina jihadista, sono diventati quello che gli osservatori chiamano Stato islamico del Mozambico. Già nel 2017, i media dello Stato Islamico confermavano che un contingente di Mujahedeen in Mozambico si era unito alla Provincia Centrafricana dello Stato Islamico, composta da Al-Shabab in Mozambico e dal gruppo jidahista Allied Democratic Forces nella Repubblica Democratica del Congo.

Gli analisti concordano sul fatto che Al-Shabab operi in modo autonomo rispetto alla struttura centrale dello Stato Islamico: sebbene gli analisti ritengano che Al-Shabab abbia giurato fedeltà allo Stato Islamico, il collegamento operativo con questo ultimo non può essere pienamente provato e la relazione di comando e controllo tra le due organizzazioni non è ancora chiara. Una foto postata dai canali Telegram, nel maggio 2018, sostiene che i jihadisti mozambicani avrebbero espresso un bayah ufficiale, cioè una promessa di fedeltà all’allora leader dello Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi. Tale promessa non è mai stata pubblicamente confermata da Al-Shabab. Il legame tra le due organizzazioni terroristiche sembra essere basato su due fattori: la condivisione dello stesso know-how militare (tattiche da cecchino, ordigni esplosivi improvvisati, decapitazioni), l'uso della propaganda dello Stato Islamico e dei social media per reclutare nuovi combattenti. Strategicamente, il marketing dello Stato Islamico “eleva” lo status dei militanti di Al-Shabab nel movimento globale della Jihad e facilita il reclutamento. In ultima analisi, mentre il sostegno dello Stato Islamico ad Al-Shabab sembra chiaro, il legame ideologico tra l’organizzazione terroristica mozambicana e lo Stato Islamico sembrerebbe invece piuttosto incerto.

Gli anni da consulente internazionale in Mozambico

Dal 2021, lavoro in Mozambico quale Consulente Internazionale delle Nazioni Unite in un progetto che mira a supportare gli Uffici di Procura, le forze di polizia e gli apparati di intelligence nel contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. Nel corso della mia attività di consulenza ho approfondito i flussi finanziari illeciti derivanti dalla collocazione sul mercato di oro e rubini illegalmente estratti dalle miniere nella provincia di Cabo Delgado sotto il controllo dei terroristi di Al-Shabab. La mia analisi si è incentrata sulla ricostruzione della supply chain illegale: l’estrazione delle materie prime dalle miniere controllate dai terroristi, la cessione a buyers internazionali e organizzazioni criminali (che pagano i terroristi con denaro e armi, usati per consolidare la loro supremazia militare e garantire laute prebende ai leader di Al-Shabab), l’individuazione dei canali di contrabbando fuori dal Paese (e delle dinamiche corruttive dei grandi importatori), l’invio delle materie prime ai centri di taglio e raffinazione e la loro distribuzione sul mercato internazionale. Un alto funzionario del Ministero delle Risorse Minerarie del Mozambico riferisce che “dall’inizio del 2024, circa quattordici tonnellate di oro, rubini, granati e tantalite (utilizzata per la creazione di acciaio chirurgico) sono stati contrabbandati dal Mozambico”.

La provincia di Cabo Delgado ospita la miniera di rubini di Montepuez, che attualmente fornisce più della metà del mercato globale.

Prossimo futuro

La strategia per contrastare i jihadisti dovrebbe implicare l’eradicazione delle ragioni socio-economiche che inducono larghe frange di giovani a unirsi all’insurrezione islamista e l'interruzione delle operazioni di Al-Shabab con un deciso intervento militare. Da una prospettiva regionale, i collegamenti con la Repubblica Democratica del Congo, l’espansione dell’influenza dei gruppi terroristici affiliati allo Stato Islamico in diversi Stati africani e le sue strutture regionali nel continente, dimostrano che il pericolo jihadista rappresenta una minaccia per le attività economiche e per la stabilità dell'intero continente africano. I ricchi giacimenti di gas naturale in Mozambico continueranno ad attrarre l'interesse dei players internazionali, anche in ragione dell’instabilità delle forniture energetiche mondiali influenzate dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente: con i Paesi occidentali alla ricerca di energie alternative in sostituzione del gas russo e con il Mozambico che possiede l'1,4% delle riserve mondiali di gas, è verosimile che l'interesse da parte dei Paesi occidentali sia destinato ad aumentare. Lo stesso “Piano Mattei” per l’Africa ha, tra gli obiettivi principali, quello di assicurare la sicurezza e la diversificazione energetica per il nostro Paese con l’implementazione di iniziative legate alla produzione, trasmissione e distribuzione dei flussi energetici fra l’Europa e il continente africano. In questo contesto geopolitico, Cabo Delgado sarà in grado di influenzare la politica energetica (e non solo) internazionale per i prossimi anni.

*avvocato, dottore commercialista e revisore Legale. Consulente globale delle Nazioni Unite, Commissione europea e Consiglio d’Europa