I cellulari ci permettono di “visitare” musei, ascoltare musica e leggere libri. Ma è come bere vino da una coppa vuota. La cultura si vive nei libri e sulle pietre: ogni visita a un borgo antico è un atto di resistenza contro l’evanescenza dell’essere
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Siamo consapevoli di vivere con lo sguardo fisso sulle mani, illuminate dalla luce dei nostri cellulari. Eppure, sentiamo che le pagine ruvide dei libri, gli incontri per strada e nei luoghi della cultura sono necessari, come un canto d’amore che accompagna gli sposi all’ingresso in chiesa: un’ode appassionata alla vita umana, un argine solido e pulsante contro la deriva dell’astrazione algoritmica. Gli schermi ci offrono il simulacro di ogni esperienza: possiamo “visitare” un museo in 3D, “ascoltare” musica in streaming, “leggere” frammenti di libri su un social. Ma tutto questo è come bere vino da una coppa vuota: l’illusione di un mosto buono, senza ebbrezza né corpo.
«Non v’è nulla nell’intelletto che non sia stato prima nei sensi», suggeriva Aristotele. Oggi questa verità riecheggia come monito. Gli eventi culturali, i concerti, le rassegne teatrali, i salotti letterari, le passeggiate nei borghi e nel verde: sono rituali del sentire umano. Sono atti di presenza reale, cerimonie dell’incontro con l’altro e con l’alterità, con la storia, con la bellezza. Sono gesti che restituiscono all’essere umano la sua tridimensionalità, il suo battito.
Camminare tra le pietre vive di un borgo medievale, dove ogni angolo conserva l’eco di un tempo che fu, corrisponde a congiungersi con la propria storia, a ricordare che si è frutto di strati di memoria. Udire un quartetto d’archi in una chiesa romanica, avvertire la vibrazione della corda che risuona nel costato, è un’esperienza che nessuna cuffia potrà replicare. A teatro, il volto dell’attore che suda e respira, che si frantuma in ogni battuta per donarsi allo spettatore, ci restituisce la sacralità del corpo e della vicinanza visiva.
Il teatro, diceva Antonin Artaud, è la «peste e la purificazione»: gesto incarnato, catarsi collettiva. In platea, si condivide il silenzio e la commozione, si diventa comunità senza saperlo. Ogni spettacolo è un atto d’amore tra chi osserva e chi si dona, e l’assenza di uno rende vano l’altro.
Nonostante le derive dell’astrazione digitale, va osservato il potere che, se ben orientato, anche il digitale può esercitare: strumento di ascolto esteso, di connessioni inedite, di accesso a voci e saperi altrimenti distanti. L’evento digitale è rapido, economico, comodo - ma solo se usato con consapevolezza. La memoria, quella vera, quella che costruisce la coscienza, ha bisogno di contrattempo, di istante, di sforzo. La cultura vissuta è faticosa, talvolta scomoda: bisogna uscire, confrontarsi, talvolta annoiarsi. Ma è proprio in questa imperfezione che si cela il miracolo delle relazioni umane. La vita è incontro, errore, dialogo, dissonanza. Tutto ciò che, obiettivamente, lo schermo appiattisce.
Contro la disgregazione dello stare insieme, è urgente un ritorno ai luoghi che custodiscono senso: biblioteche, teatri, chiostri, sale da concerto, piazze. È lì che l’essere umano si rialza, si misura con l’attrattiva e con l’altro.
Il gesto più rivoluzionario che si possa compiere oggi: sedersi ad ascoltare e discutere, senza schermi, senza fretta - questo significa resistere. Le passeggiate nei parchi, tra gli alberi, sono forme di ritorno a sé stessi. Camminare tra i boschi o in riva al mare, è meditazione incarnata: il pensiero che si fa passo, il passo che si fa idea. La cultura si vive nei libri, ma soprattutto nelle pietre, nelle foglie, nei volti, nelle mani che si stringono.
Vogliamo davvero delegare al digitale la pienezza del vivere? Esso può essere strumento, ma mai sostanza. È tempo di reimparare la presenza, di riscoprire l’importanza del corpo, della voce, dello sguardo. Ogni concerto dal vivo, ogni poesia letta ad alta voce, ogni camminata in silenzio, ogni visita a un borgo antico è un atto di resistenza contro l’evanescenza dell’essere. Questi attimi sono da cogliere, da incarnare, da incontrare, da condividere - dentro la vita.