In un racconto pubblicato originariamente nel 1962 sul “Pioniere” e poi inserito nella raccolta postuma intitolata Fiabe lunghe un sorriso, Gianni Rodari anticipa, con la consueta leggerezza, alcune questioni centrali del nostro tempo: l'apprendimento, l'intelligenza artificiale e il suo rapporto controverso con gli studenti e il mondo della scuola.

La breve parabola, ironica ma dal forte messaggio etico, si intitola La macchina per fare i compiti e narra l'incontro tra un omino “alto poco più di due fiammiferi”, che possiede un dispositivo capace di svolgere temi e risolvere problemi, e un ragazzo che insiste perché il padre lo acquisti. In cambio, l'omino pretende il cervello del giovane: tanto, osserva, non serve più a nulla, dal momento che l'apparecchio lo sostituisce in tutte le funzioni intellettuali. L'iniziale entusiasmo lascia presto il posto alla consapevolezza che, se si delega tutto alla macchina, ragionare e imparare diventano azioni pressoché impraticabili. Fortunatamente, la storia si rivela soltanto un sogno e il protagonista si risveglia e corre a fare i compiti, rendendosi conto che il valore dello studio non risiede nell'evitare la fatica, ma nel crescere con ciò che si impara.

Come spesso accade, la letteratura anticipa gli sviluppi della realtà. Oggi esistono strumenti capaci di generare automaticamente riassunti, risolvere problemi ed equazioni, correggere testi. Le applicazioni di intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, mettono a disposizione una potenza cognitiva sinora sconosciuta, in grado non solo di assistere, ma talvolta di sostituire lo studente. Ciò pone interrogativi simili a quelli posti implicitamente da Rodari: se una macchina fa i compiti al posto tuo, che ne è della tua capacità di pensare? L’efficienza vale più della comprensione? E che tipo di apprendimento vogliamo promuovere: performativo o formativo?

La forza del racconto sta nell’aver immaginato, già nei primi anni sessanta, un uso strumentale e passivizzante della tecnologia, ma anche una sorprendente via d'uscita: la riscoperta del valore intrinseco del sapere, non come prestazione, ma come crescita ed esperienza trasformativa. La macchina per fare i compiti, presentandosi come una fiaba moderna e giocosa, non demonizza il progresso. Propone, piuttosto, una riflessione profonda sul legame tra tecnologia, responsabilità e pensiero autonomo che esorta a non separare mai l’intelligenza dalla coscienza, né l’apprendimento dalla partecipazione attiva. La lezione di Rodari è chiara: il sapere non può essere “delegato”, ma solo assunto, trasformato e interiorizzato. Eppure, posti di fronte allo stesso dilemma del protagonista, sceglieremo davvero di tenerci il cervello?