L'infelice invettiva che il sindaco di Lamezia Terme, Mario Murone, ha riservato nei confronti della stampa "colpevole" di aver rimarcato il ritardo nella scelta della giunta da parte del primo cittadino, è apparsa come un tentativo piuttosto goffo di mascherare le tensioni che all'interno della maggioranza di centrodestra non sono cessate nemmeno dopo la nomina dell'esecutivo e dell'ufficio di presidenza.

«Si è fatto un gran parlate sui tempi della Giunta. L’informazione deve essere orientata in maniera oggettiva: se si fa un calcolo tra i tempi per formare la Giunta a Rende e quelli di Lamezia – ha evidenziato il sindaco durante la prima seduta del consiglio comunale – si può notare che la nostra Giunta è stata formata ancora prima. Prego la stampa di essere sempre oggettiva e fare la sua parte. Lasciamo da parte la campagna elettorale: penso anche che oggi possa iniziare una nuova era di rapporti, auspico la collaborazione per il bene dei cittadini».

Per quanto ci riguarda, ci teniamo a spiegare all'avvocato Murone, con la stessa oggettività da lui richiamata, che questa testata giornalistica ha parimenti evidenziato che le tempistiche rientravano nei termini di legge. Ma l'aula Luisi, dove si riunisce la massima assise cittadina, non è il Tribunale di Lamezia Terme. E il ritardo al quale è stato fatto riferimento è un ritardo politico. Inatteso per una coalizione politica che almeno sulla carta si dichiara compatta. Segnato da forti tensioni, checché ne dica il primo cittadino, tant'è che la matassa è stata sbrogliata solo questa mattina al termine di una estenuante trattativa ed è stato lo stesso Murone a margine della seduta ad ammettere che «non è stato facile».

«Come abbiamo detto nel corso della campagna elettorale – ha dichiarato soffermandosi con i cronisti a margine della seduta, – il ruolo dei partiti nella nostra amministrazione assumerà un evidente rilievo, una importanza particolare. Abbiamo fatto una cernita facendo quadrare le deleghe rispetto alle varie persone e quindi alla fine questo lavoro ci vede significativamente compatti come maggioranza. La cittadinanza poi – ha sostenuto il sindaco – valuterà se questa amministrazione è stata in grado o meno di soddisfare le esigenze della città e quindi se applaudire o dare un giudizio negativo all’amministrazione».

A Murone, tuttavia è stato fatta notare l’esclusione di una delle liste a suo sostegno, Calabria Azzurra, dalle nomine in Giunta e in Consiglio comunale. Il sindaco ha replicato che «Calabria Azzurra in realtà è una lista satellite di Forza Italia e questo spiega perché a un certo punto Forza Italia ha avuto l’assegnazione di un presidente del Consiglio e anche di un assessore». Ma non sono dello stesso avviso i promotori della lista che in una nota hanno espresso tutta lo loro delusione per essere rimasti all'asciutto.

Altro tema caldo emerso dalla seduta è stata la “prova muscolare” della maggioranza, che oltre alla presidenza del Consiglio comunale si è presa anche la vicepresidenza, contravvenendo a una regola non scritta, una consuetudine istituzionale che attribuisce la poltrona alla minoranza. «È una scelta che abbiamo fatto, ecco perché abbiamo impiegato tanto tempo. Perché abbiamo voluto davvero mettere sul tavolo dei consiglieri tutte le questioni. Quindi sono state scelte effettuate tra noi e abbiamo impiegato un po’ di tempo discutendo, anche fino a oggi, veramente tutto» - ha spiegato Murone.

«Maggioranza asso pigliatutto», l'ha definita, invece, il segretario cittadino del Pd. Per Vittorio Paola si tratta di «un pessimo segnale politico per il dialogo nella città. Da sempre alla minoranza si concede l'onore delle armi anche perché cinque anni sono lunghi da passare. La vicepresidenza, non tanto per il valore istituzionale, che comunque è di tutto rispetto ma per il valore politico che esprime come momento democratico di rappresentanza, da sempre è sta concessa alla minoranza. La maggioranza, forte dei numeri, ha voluto dimostrare di essere una macchina trita sassi».

Sulla questione è intervenuta in aula Annita Vitale di Azione mentre per Doris Lo Moro «non c’è stata nessuna apertura sulle cariche istituzionali, non c’è stata nessuna discussione: una chiusura totale».