L’analisi

Il silenzio del Pd sulla crisi al Comune di Reggio: Falcomatà non molla e la corda si può spezzare

La città ostaggio di un braccio di ferro tra il sindaco che vorrebbe azzerare tutto e tutti (tranne Brunetti) e la sua “maggioranza” che si è messa di traverso. Intanto le segreterie nazionale e regionale stanno a guardare

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di Claudio Labate
14 dicembre 2023
16:48
Da sinistra, Giuseppe Falcomatà e Nicola Irto
Da sinistra, Giuseppe Falcomatà e Nicola Irto

Nell’intricata vicenda di Palazzo San Giorgio a Reggio, ormai, tutto può succedere. Anche che della partita si interessino i livelli nazionali del Partito democratico. Quello che si vorrebbe evitare è invece entrare in scivolata per dirimere la questione, un po' alla “vecchia maniera”, anche perché la convinzione al Nazareno è che la situazione sia vagliata nella maniera giusta dagli organismi territoriali.

Tuttavia, a livello locale, quello che appare come un dato cristallizzato è che la città, in questo momento, è ostaggio di un braccio di ferro tra il sindaco Giuseppe Falcomatà e il Partito democratico. Rapporto che rischia di deteriorarsi irrimediabilmente e quindi di finire inesorabilmente sulle scrivanie romane se nessuno decide di fare un passo indietro o di ricercare seriamente una via di compromesso. Con la conseguenza di consegnare ai cittadini, e per l’ennesima volta, l’immagine di un Partito democratico inconcludente, che si perde nei mille rivoli di battaglie personalistiche difficili da comprendere dall’elettorato.


In questo scenario non può essere un caso il fatto che il senatore e segretario regionale Nicola Irto, abbia deciso di rimanere ufficialmente ai margini della questione giunta, senza esporsi più di tanto. Ma è un fatto anche che l’iniziativa del gruppo consiliare non può considerarsi una iniziativa autonoma e isolata. I cinque consiglieri non avrebbero la forza politica di adottare una simile scelta. Al più, come spiegano fonti interne al partito, è l’epilogo del mandato ricevuto a livello locale dal partito. Il che significa che c’è consapevolezza di quello che si sta facendo e che non ci sarebbero fughe in avanti in qualche maniera “non autorizzate”. Ma quanto meno suggerite.

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Ma d’altra parte non sarebbe logico se il segretario regionale non appoggiasse le spinte al rinnovamento declamate dal sindaco dem della città più grande della Calabria. Falcomatà, poi, è tornato probabilmente più forte di prima, almeno dal punto di vista dell’immagine: assolto e pronto a rilanciare l’azione amministrativa per i prossimi tre anni, dopo l’ingiusta sospensione. Un tempo che gli sarà utile per coltivare anche la legittima aspirazione di puntare allo scranno più alto di Palazzo Campanella e proporsi come prossimo candidato del centrosinistra a governare la Regione.

Il «nuovo inizio» invocato all’atto del suo (re)insediamento a Palazzo San Giorgio però col passare dei giorni si è complicato sempre di più. Il volere azzerare la giunta del facente funzioni Paolo Brunetti è stato d’altra parte quasi un atto dovuto. Anche per mettere a tacere le voci di chi ha sempre sostenuto che dietro ogni scelta ci fosse stato il suo zampino. Oltretutto, la città, nonostante gli sforzi di chi l’ha amministrata in sua assenza negli ultimi due anni, è una città immobile, per certi versi irriconoscibile. Insomma il bilancio è negativo e il responsabile di questa situazione è sempre il sindaco. Ecco quindi la necessità di mettere un punto a quella giunta emergenziale.

Falcomatà avrebbe preferito che gli assessori si presentassero dimissionari alla prima giunta da lui presieduta dopo il reintegro. Un gesto che molti osservatori hanno definito “appropriato”, tranne che gli assessori stessi. È quindi da qui che la situazione ha cominciato a prendere una piega diversa, per diventare grottesca col passare delle settimane.

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Certo le responsabilità sono da dividere equamente. Il primo cittadino ha infatti dettato ai partiti i criteri che dovevano stare alla base del “nuovo inizio”, con l’azzeramento della precedente esperienza e con numeri adeguati alla nuova geografia del Consiglio comunale – il sindaco può contare su sette consiglieri espressione delle sue civiche, e il Pd su cinque -, ma dando alle formazioni politiche di maggioranza la responsabilità di fornire dei nomi di alto profilo.

Da tutta questa situazione a perderci sarebbe proprio il Pd che deve accettare di passare da quattro a due assessori (mantenendo la presidenza del Consiglio con Enzo Marra). Ma Falcomatà commette probabilmente il primo errore, non comprendendo nell’azzeramento della giunta anche Brunetti che invece assume la qualifica di vicesindaco. I dem difronte alla volontà espressa dal sindaco hanno quindi risposto con il classico “o tutti o nessuno”, adducendo come motivazione preponderante la mortificazione degli assessori uscenti con l’idea di tenere dentro solo Brunetti. D’altra parte – è il ragionamento dei dem – se l’esperienza è da cancellare, perché tenere chi ne aveva la guida?

Insomma tra una interlocuzione e un’altra Brunetti è diventato l’elemento dirimente della situazione, complicando inesorabilmente anche le scelte degli altri partiti che rimproverano al sindaco di voler imporre le sue scelte e di non lasciare spazio all’autonomia decisionale delle forze di maggioranza.

Ma il Pd, oltre al muro contro muro col sindaco, è riuscito a fare di più, spaccandosi al suo interno – nella successiva interpartitica sono emerse le posizioni diverse della segretaria metropolitana rispetto a quella cittadina a cui si sono aggrappati consiglieri e assessori – e producendo uno dei gesti più eclatanti della storia amministrativa della città dello Stretto. Mai era accaduto prima che la maggioranza mettesse il sindaco in minoranza durante un Consiglio comunale: su sette punti all’ordine del giorno ne è passato soltanto uno grazie ai voti del centrodestra.

Una vera e propria imboscata - «lo abbiamo fatto apposta per metterlo difronte al fatto compiuto» confiderà uno degli assessori - se si tiene conto del fatto che fino all’ultimo proprio il sindaco è rimasto all’oscuro di ciò che sarebbe successo in aula esponendolo ad una situazione inedita e molto scomoda. Anche per gli stessi consiglieri comunali, accusati da più parti di essere attaccati alla poltrona.       

Domani è il giorno individuato per il confronto tra il partito, gli eletti e il sindaco Falcomatà. Alla riunione potrebbe partecipare anche il senatore Nicola Irto, in qualità di parlamentare interessato alle vicende della propria città, per i motivi che abbiamo già spiegato.

Ma sarà probabilmente un altro incontro interlocutorio visto che al momento non risultano siano stati fatti passi in avanti propedeutici ad una conclusione della trattativa già nella giornata di domani, col rischio che la questione finisca sui tavoli romani. Le voci fatte circolare su una possibile convocazione del primo cittadino al cospetto degli organi nazionali vengono quindi derubricate più ad una sorta di monito che un tentativo di tarpare le ali alle velleità del sindaco che nel frattempo continua a coltivare rapporti sempre più stretti e intensi con Antonio Decaro, presidente Anci ed influente esponente dem, e si aspetta un eventuale appoggio da parte del segretario regionale della “ri-generazione” Nicola Irto. Elementi utili per affrontare una eventuale partita che si giocherebbe inevitabilmente sugli equilibri interni del Nazareno.

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