L’intervista

L’assessore Gallo: «In Calabria la peste suina sarebbe una sciagura. O eliminiamo i cinghiali o andiamo via noi»

La Regione avvia un piano quinquennale per l'abbattimento di 82mila capi, di cui 65mila solo il primo anno. Il responsabile dell'Agricoltura: «Non abbiamo ancora casi sul territorio calabrese ma il rischio contagio è elevato». Il numero degli ungulati è sottostimato: «Sono molti di più»

di Mariassunta Veneziano
7 ottobre 2022
06:29
Nel riquadro l’assessore regionale Gianluca Gallo
Nel riquadro l’assessore regionale Gianluca Gallo

Un piano quinquennale per l’abbattimento di 82mila cinghiali. È datato 30 agosto 2022 il decreto del commissario ad acta alla Sanità Roberto Occhiuto che riguarda “interventi urgenti per la gestione, il controllo e l’eradicazione della peste suina africana”. La Regione, dunque, avvia la caccia grossa che prevede da subito l’uccisione di più della metà dei capi da abbattere: 65mila solo il primo anno. Un piano ritagliato sulla base dei dati forniti dal Dipartimento Agricoltura alla cui guida è l’assessore Gianluca Gallo, da più tempo alle prese con le problematiche derivanti dal sovrappopolamento di questi ungulati e che sulla necessità di procedere con un’azione radicale non ha tentennamenti: «Quello della peste suina è un problema serissimo e va eradicato prima possibile».

Assessore, come si concretizzerà questo piano?
«Intanto diciamo che si tratta di un’iniziativa del commissario per la peste suina africana nominato dal Ministero della Salute in seguito a quanto si è verificato in Piemonte, Liguria e Lazio. È stato lui a emanare un decreto che dispone che i dipartimenti Salute di ogni Regione mettano in campo delle azioni per prevenire la diffusione di questa malattia, che non colpisce solo i cinghiali ma anche i suini da allevamento, quindi è fortemente pericolosa. In Lazio sono stati già abbattuti 50mila capi perché il rischio contaminazione è elevatissimo. La Calabria ovviamente si è adeguata e il commissario alla Sanità ha emanato un’ordinanza preventiva sulla scorta di dati che abbiamo fornito dal Dipartimento Agricoltura, che gestisce anche il settore caccia. Sostanzialmente viene autorizzata questa caccia di selezione, aperta tutto l’anno: si tratta di una caccia individuale, diversa quindi rispetto a quella che avviene in gruppo. In realtà c’era già una caccia di questo tipo aperta tutto l’anno perché avevamo un piano di selezione e controllo che ci approvava l’Ispra, ma limitato a 20mila unità. Adesso si procederà, solo il primo anno, all’abbattimento di 65mila capi. Fermo restando che secondo me il problema non si risolve se non si prolunga la stagione venatoria di almeno altri due o tre mesi: abbiamo bisogno di una eradicazione».


La stima dei capi da abbattere come è stata fatta, c’è un censimento?
«Il censimento è empirico, viene fatto in base agli avvistamenti e agli abbattimenti. Sono dati che non hanno e non possono avere carattere di certezza. Secondo me i numeri sono esondanti: molto di più di quelli stimati. Deve immaginare che ogni scrofa può partorire tre cucciolate in due anni e ogni cucciolata può contare dagli 8 ai 12 piccoli. La questione è molto seria perché abbiamo anche un problema legato al risarcimento dei danni».

Ci sono territori, province, con situazioni particolarmente complicate?
«Abbiamo dati più che altro legati ai risarcimenti. Studiandoli mi sono accorto come in alcune province, quella di Crotone in particolare, i danni segnalati siano particolarmente elevati. Ma capirà che c’è anche un rischio di speculazione enorme».

L’Italia sta correndo ai ripari contro la peste suina. Lei ha ricordato le situazioni allarmanti di alcune regioni: in Calabria ci sono casi verificati o sospetti?
«La peste suina in questo momento, per fortuna, è scesa solo fino al Lazio. Se dovesse verificarsi da noi quello che è successo in Piemonte, Liguria e Lazio sarebbe una sciagura. Questa malattia blocca non solo la caccia, ma anche qualsiasi attività a terra, tipo la raccolta dei funghi per intenderci. È un disastro per il territorio. E lo so bene perché sono in contatto con i colleghi assessori del Piemonte e della Liguria».

Quello della peste suina non è l’unico problema legato alla massiccia presenza di cinghiali…
«Sono tre tipi di emergenza. Uno è legato all’agricoltura, perché i cinghiali provocano danni ingenti e non solo quelli che poi finiscono nelle richieste di risarcimento, ma anche a tanta gente che non chiede nulla e che soprattutto nelle aree interne è portata ad abbandonare i terreni, visto che non riesce a guadagnarci. C’è anche quindi un problema economico. In secondo luogo c’è un’emergenza legata alla pubblica incolumità: incidenti o attacchi nei confronti delle persone sono sempre più numerosi. A tutto questo si aggiunge l’emergenza sanitaria legata alla peste suina».

Sono problemi rilevati da tempo e adesso, lei dice, i numeri con cui fare i conti sono importanti, verosimilmente più di quelli stimati. Si poteva e si doveva intervenire prima?
«Sì, bisognava che ci fossero provvedimenti a livello governativo. Io mi sono inventato dei corsi di selezione, ho fatto diventare selettori migliaia di cacciatori, ma non basta. Devo dire anche una cosa: che laddove l’attività di selezione funziona il problema è più contenuto. Noi come assessori regionali, pressando molto, avevamo chiesto al Governo di assumere un provvedimento di modifica della legge 157/92, che è quella che regola le attività venatorie. Era stata preparata dal Mite una proposta per il prolungamento di due mesi della stagione venatoria, il Mipaaf non l’ha portata in Consiglio dei ministri. Quando finalmente siamo riusciti a convincere tutti gli assessori, visto che si tratta di un’emergenza nazionale, e il ministro Patuanelli aveva accettato, è caduto il Governo. Nel programma del centrodestra abbiamo fatto inserire l’impegno del nuovo Governo a fare questa modifica. Aggiungo un’altra cosa: il vecchio Governo su proposta dei 5 Stelle aveva stanziato 5 milioni di euro per attività di prevenzione utilizzando i metodi anticoncezionali per i cinghiali. Stiamo parlando del nulla. Questo è un problema che è stato creato in maniera maldestra decine di anni fa con delle immissioni di specie non autoctone che sono proliferate e adesso bisogna affrontarlo, va risolto, altrimenti dobbiamo andarcene noi».  

Quanto costerà alla Regione questa operazione?
«I costi sono a carico del Sistema sanitario che dovrà occuparsi dello smaltimento delle carcasse. A noi i cacciatori non costano niente».

È consapevole che questo provvedimento solleverà proteste da una parte della popolazione, così come già sta avvenendo altrove?
«Sono consapevole ma ripeto: il problema va eradicato. Si possono arrabbiare gli ambientalisti e gli animalisti ma io sono di quest’idea. Io sono assessore alla Caccia e non all’Ambiente. All’Agricoltura e alla Caccia».

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