L’analisi

L’incoerenza della politica sul Porto di Gioia Tauro: prima lo condanna a morte e poi chiede al boia di fermarsi

Sono in pochi quelli che oggi possono ostentare “l’avevo detto io”. Quando nell’aprile scorso fu approvata la direttiva europea che mette a rischio il futuro dello scalo, gli stessi partiti che oggi piangono sul latte versato votarono a favore

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di Enrico De Girolamo
4 ottobre 2023
11:54

L’incoerenza è spesso la cifra della politica: dice una cosa e ne fa un’altra. Ma sul Porto di Gioia Tauro il salto della quaglia è stato un triplo carpiato, che a confronto Simone Biles, la mitica ginnasta statunitense, è una principiante.

La vicenda dello scalo commerciale reggino, il più importante del Mediterraneo, è nota. E paradossalmente, a renderla così conosciuta, sono stati proprio i politici italiani, compresi quelli calabresi, che da settimane ormai lanciano l’allarme sul depotenziamento del porto, che rischia di fallire a causa della direttiva europea che impone pesanti “multe” alle grandi navi inquinanti.


Entro il primo gennaio, infatti, entreranno in vigore anche per il trasporto marittimo le nuove regole dell’Ets, cioè l’Emission Transfer System, il sistema Ue per lo scambio delle quote di emissione di anidrite carbonica, il principale strumento per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Il tutto attuato nell’ambito dell’ambizioso progetto Fit for 55, che punta a ridurre le emissioni inquinanti del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Questo, come ampiamente spiegato anche da LaC News 24, renderà molto più competitivi gli scali portuali extraeuropei, a cominciare da Port Said in Egitto, dove gli armatori delle portacontainer non saranno tassati. Una catastrofe per Gioia Tauro, ma anche per gli altri porti commerciali italiani, soprattutto quelli di Cagliari e Taranto.

La politica, dunque, si sta mobilitando (a parole) e tutti, compreso il governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, se la prendono col Governo chiedendo che intervenga per fermare la mannaia europea. Un po’ come cercare di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Quasi tutti, infatti, omettono di ricordare che il varo della direttiva europea risale al 18 aprile scorso, quando fu votata a Strasburgo dall’Assemblea plenaria. In quell’occasione, votarono contro solo gli europarlamentari di Fdi e Lega, mentre tutti gli altri, come spiega bene con nomi e cognomi Francesco Rende nel suo pezzo di oggi, votarono a favore, compresa la calabrese Laura Ferrara (M5s).

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A votare sì, fu anche Forza Italia, il partito del presidente della Regione Calabria, che oggi bacchetta Palazzo Chigi affinché fermi il treno in corsa che sta per andarsi a schiantare sul porto di Gioia Tauro. Ma le nuove regole non sono certo un fulmine a ciel sereno, perché il percorso per giungere a tassare le emissioni inquinanti delle navi con oltre 5000 tonnellate di stazza arriva da lontano. Era l’11 dicembre 2019 quando, al termine di un confronto che durava da anni, la Commissione europea presento il Green Deal, il piano che si propone raggiungere la neutralità climatica (cioè l’equilibrio tra le emissioni di anidride carbonica e la loro rimozione dall’atmosfera) entro il 2050.

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Nell’ambito di questo percorso a tappe si inserisce anche la direttiva che ora agita il lungo sonno della politica. Tutti preoccupati, ora. Tutti impegnati a lanciare accorati appelli a salvaguardia dello scalo calabrese, che da solo rappresenta una grande fetta del Pil regionale. Lacrime sul latte versato. Perché mentre nel Palazzo si continua a parlare, le grandi compagnie stanno già siglando contratti e accordi commerciali con gli scali portuali alternativi a quelli italiani. E le chiacchiere, come al solito, stanno a zero. 

 

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