Arianna Meloni non si fa illusioni: “Contro Decaro perdiamo 70 a 30”. Intanto in Fratelli d’Italia è guerra tra bande, Fitto e Gemmato si odiano cordialmente. E per mancanza di meglio si punta su D’Attis. La Lega? Lancia Vannacci
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In Puglia, l’unico vento che soffia sulla destra è lo scirocco. Quello che impasta le strade, ti incolla i vestiti addosso e ti fa sognare l’esilio volontario. Giorgia Meloni, che da quelle parti si rifugia per ricaricare le pile in estate, forse avrebbe preferito non sapere. Ma la notizia è arrivata lo stesso, da chi di solito la tiene informata su tutto: sua sorella Arianna. Secca, brutale, definitiva: “Contro Decaro, bene che vada, perdiamo 70 a 30”.
Il problema, semmai, è che nessuno sa ancora chi perderà. Perché al momento il centrodestra non ha un candidato. Non ha nemmeno una coalizione vera. Solo un manipolo di generali in disaccordo, un esercito in fuga, e una sequela di faide che hanno reso la Puglia un deserto elettorale. Anzi, una terra da evitare come la peste. Altro che “roccaforte da strappare al centrosinistra”: qui si cercano solo martiri.
Il nome più gettonato per il ruolo di agnello sacrificale è Mauro D’Attis, parlamentare forzista e volto moderato. Uno che piace perché non dà fastidio a nessuno. O meglio, non abbastanza da scatenare altre risse. L’alternativa, per ora, non esiste. E tutti sanno che chiunque verrà scelto andrà incontro a una sconfitta devastante, senza appello.
Del resto, chi conosce la politica pugliese sa che la destra ha smesso di esistere da un pezzo. Michele Emiliano ha fatto terra bruciata intorno, inglobando, cooptando, lusingando. L’Acquedotto Pugliese, la sanità, le municipalizzate: ogni snodo di potere è stato usato per costruire un sistema di fedeltà trasversale. Gli avversari? Uno dopo l’altro, neutralizzati con un mix di incarichi e carezze. A destra, chi non ha cambiato casacca è finito isolato. Gli altri sono finiti… con Emiliano.
E oggi si paga il conto. In Fratelli d’Italia, la resa dei conti è già iniziata. Da un lato c’è Marcello Gemmato, sottosegretario, barese verace, ex almirantiano che gioca a fare il ras locale. Dall’altro Raffaele Fitto, che ufficialmente guarda all’Europa, ma in realtà manovra ancora in regione. I due non si parlano, se non per farsi la guerra. L’ultima mina l’ha piazzata proprio Gemmato, portando nel partito Pippi Mellone, il sindaco di Nardò. Fascista di provenienza, amico di Emiliano per convenienza, già noto per saluti romani, uscite muscolari in consiglio comunale e flirt politici trasversali.
L’accordo tra Mellone e FdI lo ha siglato Giovanni Donzelli, il cui entusiasmo però non ha contagiato nessuno. A Lecce, i dirigenti locali sono insorti. Riunioni saltate, scomuniche reciproche, telefoni muti. Fitto si è tenuto a distanza, ma pare abbia mandato a dire che “non è disposto a farsi umiliare”. Tradotto: se deve perdere, che almeno non lo facciano passare per complice.
Nel frattempo, la Lega si agita. Non sapendo che fare, ha deciso di fare rumore: ecco che spunta l’idea di candidare Roberto Vannacci come capolista. Sì, proprio lui: il generale delle frasi imbarazzanti, l’uomo che distingue gli italiani “normali” da tutti gli altri. Non importa se è nato a La Spezia, se la Puglia non sa nemmeno dove stia di casa. L’importante è occupare spazio, come nei talk show.
E mentre le truppe si accapigliano, Forza Italia si allarga a dismisura, pescando ex civici e transfughi di Emiliano. Tra questi, spunta anche Anita Maurodinoia, l’assessora “itinerante” passata da sette partiti, coinvolta in un’inchiesta per voto di scambio, oggi corteggiatissima. La politica in Puglia, si sa, è liquida. O meglio: è un’acqua stagnante dove galleggia chi sa nuotare meglio.
Il risultato? Una corsa senza candidati forti, una coalizione senza guida, un elettorato disilluso. Il centrosinistra, con Antonio Decaro pronto a raccogliere l’eredità di Emiliano, ringrazia. E intanto osserva con divertito distacco il caos degli avversari.
Meloni assiste da lontano. Sa che la batosta è in arrivo. E sa che sarà un colpo all’immagine, più che ai numeri. La Puglia non si vince, d’accordo. Ma perderla così, male, nel disonore e nel caos, lascia il segno. Anche nel Nord, dove la premier dovrà spiegare perché – mentre difende i confini – i suoi colonnelli si sparano alle spalle.
Nel partito si respira la rassegnazione. Lo ammettono sottovoce: l’unica speranza è limitare i danni, incassare il colpo, e voltare pagina. Per ora, il titolo della disfatta è già scritto: “Meloni affonda al Sud”. Con buona pace della masseria e delle ferie in Salento.