Il presidente dimissionario interviene nel primo panel a Reggio e ripropone la propria versione sulle dimissioni: «Mi hanno dato per finito, ma ho scelto di ridare la parola agli elettori. Non volevo che la strumentalizzazione dell’inchiesta condizionasse il risultato elettorale»
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Un intervento diretto, a tratti emotivo, ma lucido e politico fino in fondo. Roberto Occhiuto, presidente dimissionario della Regione Calabria, ha aperto il primo panel degli Stati Generali del Sud a Reggio Calabria con un discorso che ha tracciato la linea del confronto: autonomia delle Regioni, coraggio nelle scelte e rigore amministrativo. Il tutto sullo sfondo di una decisione che ha segnato il dibattito nazionale: le dimissioni volontarie da presidente per chiedere «ai calabresi di giudicare quanto fatto finora».
Introdotto dalla vicepresidente del Senato Licia Ronzulli, che ha definito il suo gesto «raro, coerente e tutt’altro che debole», Occhiuto ha subito chiarito: «In un Paese civile non ci si dimette per un avviso di garanzia. Ma in un Paese civile le inchieste non dovrebbero essere usate come clave politiche. Dopo quell’avviso, in Regione nessuno firmava più niente. Nessuno si assumeva responsabilità. Sono diventato, agli occhi di alcuni, un presidente dimezzato, indebolito. Ma io ho scelto di non restare bloccato. Ho detto: siano i calabresi a decidere».
Un atto politico, non giudiziario, ha ribadito, che affonda nella volontà di «evitare che la Calabria finisca come in altre regioni, dove inchieste strumentalizzate hanno condizionato il risultato elettorale». Poi, rivolto ai suoi colleghi presenti – i presidenti di Sicilia, Basilicata e Molise – ha parlato di «buon governo del Sud», sottolineando come proprio dal Mezzogiorno sia venuto negli ultimi anni «il volto più credibile e concreto dell’azione amministrativa di Forza Italia».
A pungolare Occhiuto era stata la stessa Ronzulli: «Quando si è all’opposizione si invocano le elezioni anticipate. Eppure, qui in Calabria, l’opposizione sembra aver paura del voto». Occhiuto ha rincarato: «Per quattro anni la sinistra è sembrata rassegnata. Poi, come sciacalli, ha pensato che un’inchiesta potesse fare quello che non riuscivano a fare con le urne: sconfiggermi. Ma io non temo nulla. Ho governato con rigore, con la coscienza a posto, fianco a fianco con le Procure. E non accetto che si usino le indagini per annientare l’avversario».
A chi lo ha definito coraggioso, Occhiuto risponde con pragmatismo: «Per governare una Regione del Sud il coraggio non è una qualità, è un prerequisito». Ma c’è anche un passaggio identitario, profondo, che lega la sua scelta all’eredità di Silvio Berlusconi: «Il nostro maestro – ha detto Occhiuto – è stato lui. Ed è stato proprio lui, più di ogni altro, a resistere alle inchieste giudiziarie rivolgendosi sempre agli elettori. Non basta aver avuto grandi maestri. Conta dimostrare di aver imparato la lezione. Io ho scelto di farlo».
Nel finale, un monito rivolto anche alla macchina burocratica calabrese: «Riunirò i direttori generali della Regione e dirò chiaramente che sceglierò chi ha continuato a lavorare, non chi si è fermato. Perché io sono convinto di tornare a governare questa terra. E lo farò con chi avrà dimostrato impegno, non paura».