La nomina è pronta, il nome pure. Ma manca ancora la firma di Giorgia Meloni, che stavolta tentenna. Perché scrivere “Marcello Gemmato” accanto alla voce “viceministro della Salute” su un decreto della Presidenza della Repubblica potrebbe risultare indigesto perfino al Colle. Non che manchino gli applausi in casa Fratelli d’Italia: Gemmato è il fedelissimo perfetto, il melonianissimo doc. Ma è anche – dettaglio non proprio secondario – titolare di una farmacia a Terlizzi e il regista silenzioso di alcune scelte che hanno fatto esultare più farmacisti che pazienti.

È questo il punto che tiene in allerta il ministro in carica Orazio Schillaci, uomo sobrio e di scienza, stimato dal Quirinale e finora allergico al caos. Lui, ex rettore e medico nucleare, ha accolto con fastidio crescente il protagonismo del suo sottosegretario, soprattutto quando ha iniziato a sentire il tintinnio di flaconi e registratori di cassa.

Da mesi Gemmato siede sulla delega alla farmaceutica. E da mesi i farmacisti – miracolosamente – hanno iniziato a ricevere buone notizie in serie. Il colpo grosso è arrivato con un provvedimento che ha spostato intere classi di farmaci dalla cosiddetta “assistenza diretta” (gestita dalle strutture sanitarie regionali) alle farmacie di quartiere. Risultato? Più comodo per il cittadino, certo. Ma anche più ricco per chi quei farmaci li vende.

Prendiamo le gliptine, antidiabetici da 150 milioni di euro l’anno. Poi le glifozine, altra categoria di farmaci contro il diabete, che da sole muovono un giro da 400 milioni. Questi medicinali venivano acquistati in blocco dalle Regioni, con sconti e rimborsi concordati a livello centrale, e distribuiti nei presidi ospedalieri. Adesso finiscono direttamente sugli scaffali delle farmacie, con ricarichi che fanno sorridere le lobby del settore.

Sulla carta, una semplificazione. Ma nei fatti? I bilanci regionali piangono: saltano gli sconti, restano i costi pieni e si aggiunge anche il margine per il farmacista. Secondo alcune stime interne, il guadagno ottenuto con le nuove condizioni si aggira attorno ai 15 milioni. Il buco, invece, sfiorerebbe i 200.

Intanto Gemmato si gode il suo momento d’oro: congressi, saluti, pacche sulle spalle e standing ovation ai convegni del settore. I colleghi lo celebrano come l’uomo che ha riportato “la farmacia al centro del sistema”. E lui, da sottosegretario con negozio, non nega: fa il farmacista e lo rivendica. Ma è proprio questo il nodo: quanto può essere super partes chi gestisce un esercizio commerciale direttamente coinvolto nelle decisioni di cui è anche promotore?

Nel frattempo, il farmacista del governo continua a tessere la sua rete. Con la fusione tra Unico e Q Farma – società legate al mondo delle coop di farmacie – è nato un colosso da 2,5 miliardi. E nel consiglio d’amministrazione del nuovo gruppo, guarda un po’, è entrato Sergio Silvestris, ex eurodeputato pugliese di Fratelli d’Italia e sodale di lunga data di Gemmato. Un caso? Forse. Ma il mosaico inizia a somigliare a un disegno.

A frenare tutto, per ora, è Giorgia Meloni. Nonostante la stima, l’affetto e i frequenti soggiorni estivi nella masseria del suo Marcello, la premier sa che questa volta la decisione pesa. Perché mentre al Viminale si gestiscono emergenze, e al Tesoro si fanno i conti, alla Salute si sfiorano equilibri delicati, economici e simbolici. E promuovere un uomo così esposto, così dentro al sistema, così devoto alla “pillola” oltre che alla patria, rischia di mandare giù di traverso anche il più navigato dei quirinalisti.

Certo, nel gioco delle nomine nessuno è mai davvero bocciato finché c’è aria di rimpasto. Ma la sensazione è che per Gemmato – almeno per ora – la corsa al viceministero sia entrata nella zona d’ombra delle decisioni che non si prendono. O che si prendono aspettando il momento giusto. O, semplicemente, sperando che si dimentichino da sole.

Ma la farmacia di Terlizzi resta lì. Con le luci accese. E la delega ancora attaccata al bancone.