La Giornata mondiale del diabete, celebrata il 14 novembre, arriva quest’anno con numeri che confermano una tendenza allarmante. In Italia si stimano oltre 4,3 milioni di persone con diabete diagnosticato, ai quali gli specialisti aggiungono almeno un milione di casi non ancora individuati. L’aumento riguarda soprattutto il diabete di tipo 2, favorito da sedentarietà, cattiva alimentazione, sovrappeso e invecchiamento della popolazione.

Secondo le associazioni scientifiche, il costo complessivo della malattia – tra cure, ricoveri e complicanze – supera i 9 miliardi di euro l’anno, con un impatto crescente sui servizi sanitari regionali. Le complicanze restano il nodo più critico: infarti, ictus, insufficienza renale e problemi alla vista colpiscono soprattutto chi arriva tardi alla diagnosi o non è seguito in modo continuativo.

Abbiamo sentito Elena Succurro, docente all’Umg e consigliere nazionale della Società Italiana di Diabetologia.

Che cos’è il diabete e qual è la differenza principale tra diabete di tipo 1 e tipo 2?

«Il diabete è una malattia cronica caratterizzata da iperglicemia, cioè da livelli elevati di glucosio nel sangue, causati da una carenza nella produzione di insulina o da una ridotta capacità dell’organismo di utilizzarla. L’insulina, prodotta dal pancreas, è essenziale per permettere al glucosio di entrare nelle cellule e fornire energia».

«Esistono due forme principali:

Diabete di tipo 1: si manifesta di solito nell’infanzia o nell’adolescenza. È una malattia autoimmune in cui il sistema immunitario distrugge le cellule pancreatiche che producono insulina. La terapia prevede la somministrazione quotidiana di insulina per tutta la vita.

Diabete di tipo 2: rappresenta circa il 90% dei casi. Il pancreas può produrre insulina, ma le cellule diventano resistenti alla sua azione (insulino-resistenza) oppure il pancreas non ne produce a sufficienza. Oggi l’età di insorgenza si sta abbassando, complici i crescenti tassi di sovrappeso e obesità anche tra i giovani».

Quanto è diffuso oggi il diabete in Italia?

«In Italia si stimano circa 3,9 milioni di persone affette da diabete, pari al 6,6% della popolazione. Per ogni tre persone che sanno di essere diabetiche, ce n’è almeno una che non ha ancora ricevuto una diagnosi. Inoltre, per ogni caso noto c’è almeno un soggetto ad alto rischio di sviluppare la malattia: circa 3,27 milioni di persone. Le proiezioni indicano che entro il 2045 una persona su dieci in Italia sarà affetta da diabete».

Quali segnali iniziali non andrebbero sottovalutati?

«Riconoscere precocemente il diabete di tipo 1 è fondamentale, soprattutto nei bambini, per evitare complicanze acute potenzialmente pericolose. Due sintomi chiave sono sete eccessiva e minzione frequente, spesso accompagnati da perdita di peso, malessere e odore di acetone nell’alito».

«Il diabete di tipo 2, invece, nella maggior parte dei casi non dà sintomi. Quando compaiono – sete intensa, urine abbondanti, stanchezza – possono indicare uno scompenso glicemico già avanzato».

«La prevenzione passa da esami semplici come la glicemia a digiuno, l’emoglobina glicata o la curva da carico orale di glucosio, soprattutto nei soggetti con fattori di rischio».

Quali sono i principali fattori di rischio per il diabete tipo 2?

«Sovrappeso, obesità addominale, alimentazione ricca di zuccheri e grassi, sedentarietà e inattività fisica sono i fattori più influenti. L’80-90% delle persone con diabete tipo 2 è in sovrappeso o obeso. A questi si aggiungono urbanizzazione, età avanzata, ipertensione, ipercolesterolemia e familiarità».

«Interventi sullo stile di vita – perdita di peso e almeno 150 minuti a settimana di attività fisica moderata – possono dimezzare il rischio di sviluppare la malattia».

Le nuove tecnologie e i farmaci innovativi stanno davvero cambiando la vita dei pazienti?

«Sì. Il monitoraggio continuo della glicemia e i microinfusori con sistemi automatici permettono un controllo più accurato, riducono il rischio di ipoglicemie e offrono maggiore libertà, soprattutto ai giovani con diabete tipo 1».

«La terapia del diabete tipo 2 ha conosciuto progressi altrettanto rilevanti: molti farmaci innovativi migliorano il controllo glicemico senza causare ipoglicemie e riducono il rischio cardiovascolare e renale. Gli agonisti GLP-1 e i doppi agonisti GIP/GLP-1 favoriscono inoltre una significativa perdita di peso e sono utilizzati anche per il trattamento dell’obesità nei non diabetici».

L’Italia è pronta ad affrontare l’aumento dei casi?

«C’è molta preoccupazione. Il diabete è in crescita e persistono forti disuguaglianze regionali nell’accesso alle cure. Solo il 30% delle persone con diabete riceve assistenza specialistica, e una quota ancora minore ha accesso a percorsi di educazione terapeutica».

«I numeri sono pesanti:

– le persone con diabete hanno un rischio di ricovero doppio rispetto a chi non è diabetico;

– i ricoveri durano in media il 20% in più;

– ogni anno oltre 50 milioni di euro vengono spesi per ricoveri dovuti a gravi ipoglicemie;

– un terzo dei pazienti sviluppa problemi alla vista;

– ogni 30 secondi, nel mondo, avviene un’amputazione di un arto inferiore legata al diabete;

– il rischio di insufficienza renale è 10 volte superiore, quello cardiovascolare triplo».

«La diagnosi precoce e una gestione adeguata possono ridurre in modo significativo questi rischi».

Qual è la situazione in Calabria?

«La Calabria presenta dati particolarmente critici: si stimano oltre 150.000 persone con diabete, pari all’8,5% della popolazione, una prevalenza superiore alla media nazionale. A fronte di ciò, l’accesso alle cure specialistiche è più basso».

«Le disparità territoriali rappresentano una delle sfide più urgenti: pazienti con la stessa patologia vivono percorsi di cura molto diversi a seconda della regione di residenza, con differenze nell’accesso ai dispositivi e ai percorsi assistenziali».

«I clinici e le società scientifiche chiedono una governance nazionale capace di superare questi divari, basata su criteri clinici, sostenibilità e centralità del paziente. Garantire equità significa assicurare a tutti gli stessi diritti e la stessa qualità di trattamento, indipendentemente dal territorio. Solo colmando i divari si potrà davvero parlare di un’assistenza centrata sul paziente, non sul codice di avviamento postale».