I medici cubani assunti negli ospedali della Calabria hanno le carte in regola per esercitare la professione? Una domanda che soffia nel vento da almeno un anno e mezzo e che è tornata attuale pochi giorni fa grazie a due sentenze della giustizia amministrativa che riguardano la sanità lombarda, ma che fanno fischiare le orecchie anche a quella calabrese.

Lo scorso 15 settembre, infatti, il Tar di Milano ha bocciato la delibera con cui, a novembre del 2024, la Regione Lombardia autorizzava il reclutamento di medici stranieri non comunitari con procedure molto più semplificate rispetto a quelle adottate per i medici italiani e comunitari. Un’evidente disparità di trattamento, dunque, ma questa è solo una delle censure mosse dai giudici; l’altra, la più importante, riguarda la violazione di un interesse fondamentale della collettività: quello di non trovarsi esposti all’esercizio dell’arte medica da parte di soggetti «potenzialmente non qualificati».

L’asino casca sui criteri scelti per verificare i titoli in possesso di questi medici. È un compito che spetta al ministero della Salute e che quest’ultimo ha delegato alle Regioni. Il problema, nel caso lombardo, è che si è andati oltre i limiti di questa delega, con la giunta Fontana che avrebbe addirittura «introdotto una disciplina alternativa» con il risultato di cancellare di fatto ogni «verifica sostanziale delle competenze dei professionisti muniti di qualifiche conseguite all’estero».

In tal senso, i giudici citano a mo’ d’esempio negativo la mancata iscrizione di questi medici in un albo professionale, un requisito che per la Regione Lombardia non era fondamentale, tant’è che poteva essere sostituito da una autocertificazione munita di visto dell’ambasciata italiana. Esattamente ciò che è avvenuto mille chilometri più a sud con i cubani.

A questo punto, un parallelo tra i due casi è pressoché automatico. In Calabria, erano stati proprio gli Ordini provinciali dei medici a sollevare dubbi sulle procedure adottate per selezionare i medici provenienti dall’isola caraibica; procedure che, a loro avviso, non garantivano neanche la certezza che gli stessi avessero la laurea. Una presa di posizione che, all’epoca, aveva comportato una levata di scudi da parte della Regione, ma senza che la querelle finisse poi al vaglio della magistratura amministrativa.

Non a caso, contrariamente a quanto accaduto in Lombardia, dove si sono mobilitati l’Ordine dei medici di Milano e Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, in Calabria non è stato presentato alcun ricorso al Tar. Da allora, dunque, una possibile verità su chi avesse ragione e chi no, è rimasta sospesa tra due opinioni divergenti. Ora, però, una sentenza sembra far pendere la bilancia in favore dei contrari, come rivendicato dal presidente dei medici italiani, Filippo Anelli.

Non è una questione di poco conto. Le sentenze pronunciate a Milano, infatti, non produrranno effetti materiali sugli assetti della sanità lombarda perché la delibera della Regione è rimasta solo sulla carta proprio in attesa dell’esito dei ricorsi.

Il Veneto si accingeva ad adottare una procedura analoga per il reclutamento dei suoi medici, ma alla luce delle ultime novità, potrebbe fare dietrofront. Anche il Molise, nelle scorse settimane, aveva annunciato di voler attingere al serbatoio cubano per fronteggiare la penuria di personale medico, ma in quel caso non si è ancora andati oltre la mera dichiarazione d’intenti.

E in Calabria? Qui la campagna elettorale è entrata nel clou e la questione sembra passata in secondo piano, almeno per ora. Nessun commento da parte di Roberto Occhiuto, che della soluzione cubana è stato ideatore e sponsor principale, ma nessun segnale anche da parte dello sfidante Pasquale Tridico, che l’argomento medici cubani e dintorni lo ha preso alla larga, definendolo «un tentativo nobile, ma fallimentare» da parte del suo competitor. La speranza è che, come avvenuto già in passato, a esprimersi in merito non sia un “semplice” Tribunale amministrativo, ma una Procura della Repubblica.