Maria non chiede una diagnosi su un giornale. Chiede confronto, ascolto, umanità. «Altre famiglie vivono la nostra stessa situazione?». Il suo è un appello indirizzato a medici, specialisti, istituzioni sanitarie, ma anche ad altre madri e padri che combattono nell’ombra e sperano di alleviare il dolore dei propri figli
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Maria è la madre di Giovanni (nome di fantasia che useremo per tutelare la sua privacy) ed è disperata. Il figlio deve fare quotidianamente i conti con una diagnosi pesantissima, bipolarismo di tipo 1, psicosi, depressione con sintomi produttivi, ma nonostante una terapia composta da massicce dosi si farmaci, ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici, il quadro clinico non migliora, anzi, peggiora, al punto da rendere un inferno la vita del giovane paziente e di tutti i suoi famigliari.
Per questo sua madre ha chiesto alla nostra redazione di lanciare un appello pubblico, che possa arrivare a più persone possibili: «Aiutatemi a capire come posso aiutare mio figlio». Maria non chiede una diagnosi su un giornale. Chiede confronto, ascolto, umanità. «Altre famiglie vivono la nostra stessa situazione?». Il suo è un appello indirizzato a medici, specialisti, istituzioni sanitarie, ma anche ad altre madri e padri che combattono nell’ombra.
Il calvario di Giovanni
Per capire il dramma di questa famiglia, dobbiamo partire dalle origini. Giovanni nasce in una tranquilla famiglia residente nella Riviera dei Cedri e fino all’adolescenza è come tutti i suoi coetanei. Poi, un giorno, all’improvviso, comincia a manifestare malessere e disagio profondi. No, non quello dei primi amori non ricambiati; è un disagio che porta l’umore del ragazzo a fare su e giù in modo repentino, come sulle montagne russe. La diagnosi è facile, da un certo punto di vista. Suo zio è già in cura per bipolarismo e i medici ci mettono poco a capire che anche lui ne sia affetto.
La sua è una forma gravissima. Giovanni finisce spesso in ospedale, viene ricoverato, i farmaci sembrano che lo facciano stare meglio per un po’, poi l’effetto svanisce nel giro di qualche minuto. All’umore altalenante, con il tempo, si aggiungono insonnia, episodi di aggressività, iperattività, spese compulsive, ricerca continua di gratificazione e, infine, il vizio del gioco. Una trappola in cui chi soffre di bipolarismo cade con estrema facilità.
«È come se fosse sempre in fuga da sé stesso - dice la madre - Non riesce a fermarsi mai». Un Forrest Gump calabrese, non si ferma mai, continua ad andare avanti e indietro anche quando il suo corpo è stanco. Intanto, il giovane, che è estremamente sensibile, è sempre più solo, emarginato, spesso preso di mira da imbecilli senza scrupoli che deridono la sua fragilità e lo spingono ad azioni insulse. Giovanni capisce tutto, soffre dentro di sé, ma non riesce a reagire, è come fosse ostaggio della sua mente.
Una trottola che non si ferma mai
La famiglia tenta i ricoveri, fa il giro dei medici di Italia, in una occasione è costretta a richiedere un tso. Alla diagnosi di bipolarismo si aggiungono quella di psicosi e depressione con episodi di produttività. Le condizioni sono gravissime e nessun farmaco sembra attenuare i sintomi. Eppure la cura farmacologica è pesantissima: Carbolithium, Haldol, Tavor, Pregabalin, Sereupin, Akineton, RP Delmadorm, Abilify Maintena. Farmaci buoni a buttare giù un elefante, ma non a calmare l’inquietudine e l’irrequietezza fisica e mentale di Giovanni, una trottola che non smette mai di girare. Di notte dorme poco e male e di giorno spinge il suo corpo oltre ogni limite.
«Lo vedo soffrire ogni giorno e non ce la faccio più a vederlo in quello stato - racconta la madre -. Ma è come se qualcosa non tornasse. Come se stessimo curando solo una parte del problema». Uno dei segnali che la tormentano è un dato clinico ricorrente: il valore del litio, farmaco cardine nella cura del disturbo bipolare, risulta spesso basso nelle analisi, nonostante l’assunzione regolare. Un dettaglio che per lei non è solo un numero, ma un altro enigma da risolvere. Perché gli psichiatri non sanno spiegarle il motivo.
Il sospetto dell’Adhd
Maria chiede aiuto, si confronta con altri genitori, qualcuno le suggerisce di valutare anche l’ipotesi l’Adhd (noto come disturbo da deficit di attenzione e iperattività). Le dicono che quella disperata ricerca del piacere e della gratitudine potrebbe indicare una grave carenza di dopamina, detto, appunto, “ormone del piacere”. Maria lo riferisce ai medici che lo hanno in cura, chiede di indagare ma per gli psichiatri quella dell’Adhd non è un’ipotesi plausibile. Non prendono in considerazione nemmeno l’ipotesi della comorbidità.
Ma tutti si si basano sull’unica diagnosi redatta, ormai molti anni fa, e nessuno approfondisce. Giovanni non viene sottoposto ad alcun test e a nessun ulteriore controllo. Maria non mette nemmeno lontanamente in discussione la parola dei medici, ma il dato di fatto è che le medicine che assume Giovanni su di lui sembrano sortire lo stesso effetto dell’acqua fresca. E la loro vita diventa ad ogni ora più insopportabile.
A volte, Giovanni diventa così aggressivo che è necessario l’intervento delle forze dell’ordine per calmarlo e scongiurare il peggio. Al dolore si aggiunge l’umiliazione. E sua madre ora non ce la fa più. Per questo ha deciso di rendere pubblica la loro storia, pur mantenendo riservatezza. Maria chiede solo di sapere se, in fondo a questo tunnel infernale, ci sia una via d’uscita. Vuole solo sapere se qualche altro genitore sia riuscito ad alleviare il dolore straziante del proprio figlio.

