L’artista affronta critiche sui social per le sue esternazioni. Eppure, la cantante lirica, amata nel mondo, merita rispetto e comprensione per il suo vissuto
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Durante la puntata di Verissimo andata in onda domenica 28 settembre, tra i vari ospiti, è apparsa Katia Ricciarelli, visibilmente scossa, addolorata, sofferente. Le lacrime le invadevano lo sguardo, la sofferenza la portava incisa sul volto.
Negli ultimi giorni il suo nome è tornato al centro dell’attenzione, non per una delle sue celebri interpretazioni liriche, ma per una polemica che ha assunto toni sproporzionati. Le dichiarazioni sull’ex marito Pippo Baudo hanno suscitato la reazione legale di Dina Minna, storica segretaria del conduttore, che ha diffidato la Ricciarelli dal parlare delle decisioni prese da Baudo, in particolare in merito al suo testamento.
Non solo: nel salotto di Caterina Balivo, Giancarlo Magalli non ha perso occasione per puntare il dito contro l’ex moglie di Baudo. E come se non bastasse, la sua partecipazione alla prima puntata di Domenica In, dove avrebbe dovuto ricordare Pippo Baudo, è stata cancellata all’ultimo momento. Una decisione che stona con le dichiarazioni d’affetto di Mara Venier, che più volte aveva definito Katia “una sorella”. Amicizia a parole, dunque, ma nei fatti?
Sia chiaro: Katia Ricciarelli poteva – e forse doveva – evitare certe esternazioni pubbliche. Quando si toccano corde intime e delicate, la misura e la discrezione sono virtù indispensabili. Ma una cosa è criticare, un’altra è travolgere una donna con un’ondata di odio e disprezzo come quella che si è vista sui social e sui media.
Parliamo di un’artista che ha calcato i più prestigiosi palcoscenici internazionali, una delle voci liriche italiane più amate e riconosciute nel mondo. Una donna che ha dedicato la vita all’arte, che ha fatto della musica una missione. Questo merita rispetto. E sì, anche indulgenza. Perché dietro la diva c’è la persona: una donna matura, con un vissuto fatto di amori, dolori, successi e inevitabili solitudini. È facile giudicare una frase infelice, dimenticando che spesso nasce da una ferita che non si rimargina.
L’amore non si esaurisce con un divorzio o con una firma dal notaio: può finire nei codici, ma restare a lungo nel cuore di chi lo ha vissuto intensamente. Per questo non si tratta di giustificare tutto, ma di riconoscere che il dissenso non può trasformarsi in linciaggio.
Si può criticare, ma non insultare. Si può dissentire, ma non disumanizzare. E forse, dietro certe parole, si nasconde soltanto un bisogno di essere ascoltati, o il maldestro tentativo di rivendicare: “quel pezzo di vita mi appartiene ancora”.
In un tempo in cui tutti parlano e pochi sanno ascoltare, difendere il diritto alla memoria – anche se scomoda – diventa un gesto rivoluzionario.
Perché si può diffidare qualcuno dal parlare, ma non si può diffidare un cuore dal ricordare.