Non è il ritiro in sé a fare notizia, ma la causa. Perché Jannik Sinner a Cincinnati non ha perso contro Carlos Alcaraz: è stato abbattuto da qualcosa di più subdolo, improvviso, invisibile. E adesso la domanda che rimbalza dal circuito al web è una sola: che cosa lo ha messo ko in modo così brutale?

Gli indizi non mancano. Il primo porta dritto al giorno del suo compleanno. Sabato 16 agosto Jannik ha spento 24 candeline, con gli organizzatori del torneo pronti a celebrarlo con torta panna e fragole e un brindisi. Una scena innocente, da cartolina. Ma basta poco per trasformarla in un tranello: una fragola non lavata, un cucchiaio di crema rimasto troppo fuori dal frigo. Lo stesso Sinner, rigidissimo con la dieta, si è lasciato andare all’assaggio. Quel gesto potrebbe essersi trasformato in miccia di un’intossicazione alimentare.

Chi frequenta il tennis sa bene quanto gli atleti siano ossessionati da ciò che mettono nel piatto. Nessun eccesso, nessuna improvvisazione. L’organismo è una macchina che deve essere oliata alla perfezione, ogni deviazione rischia di scardinare gli equilibri. Eppure stavolta la leggerezza potrebbe essere arrivata proprio nella forma più banale: una fetta di torta avariata, il regalo velenoso di una festa di compleanno.

C’è poi l’altra spiegazione che negli Stati Uniti fa sempre capolino: l’aria condizionata. Un killer silenzioso, onnipresente negli hotel, nei ristoranti, perfino negli spogliatoi. Getti gelidi che investono a tradimento, lasciando gli atleti vulnerabili a raffreddori e blocchi muscolari. Una lama di ghiaccio che, se incrocia un organismo già stanco, può diventare letale. Non sarebbe la prima volta che un giocatore paga il prezzo di un “air conditioning shock”, una sindrome fin troppo comune oltreoceano.

Terza pista: il virus intestinale. Un ospite indesiderato, democratico e crudele, che non guarda classifiche né ranking. Basta un contatto, un bicchiere sbagliato, un cibo contaminato. Un’infezione che non perdona, che svuota energie e trasforma il corpo di un atleta in un campo minato. Chi lo ha visto a bordo campo parla di Sinner pallido, con lo sguardo perso, come chi lotta con nausea e debolezza.

La certezza è che non si tratta di un problema “meccanico”: niente caviglie, niente schiena, niente ginocchia. Stavolta la macchina si è inceppata per un guasto chimico, biologico, fisiologico. Un bug esterno, non una fragilità interna. «Da domenica non mi sentivo bene, speravo di migliorare nella notte e invece sono peggiorato» ha ammesso lui, con un filo di voce, dopo aver alzato bandiera bianca.

E così la finale più attesa è durata meno di mezz’ora, senza nemmeno il tempo di scaldarsi. Un epilogo che ha fatto felice Alcaraz, pronto a rosicchiare punti in classifica, ma che non lascia soddisfatto nessuno. Nemmeno i tifosi, rimasti con la sensazione di aver assistito non a una partita, ma a un funerale sportivo in diretta.

Il paradosso è che Sinner era entrato in campo soltanto per rispetto del pubblico. Sapeva di non stare bene, ha provato a onorare l’impegno, ma dopo cinque game ha dovuto fermarsi. Un’immagine che non dimenticheremo facilmente: il numero uno d’Italia piegato sul fianco, bianco come un lenzuolo, incapace di reagire.

Adesso l’attenzione si sposta inevitabilmente a New York. Perché se davvero si è trattato di una banale intossicazione, in pochi giorni il corpo tornerà a rispondere. Ma se il problema fosse stato aggravato da un colpo d’aria o da un virus più resistente, i tempi di recupero potrebbero diventare un’incognita pericolosa.

Un compleanno con torta e panna, un climatizzatore killer, un virus bastardo: tre scenari, un unico verdetto. Il corpo di Sinner, di solito programmato come un computer perfetto, stavolta ha subito un crash improvviso. E il tennis mondiale si ritrova a chiedersi quanto basti poco per ribaltare le gerarchie. A Cincinnati non ha vinto Alcaraz, non ha perso Sinner. Ha vinto il caos, ha perso la certezza che i campioni siano invincibili.