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Cosenza-Catanzaro, oltre il derby: storie d’amore per il calcio che superano i confini della Calabria

Ventimila spettatori al Marulla per il match dell’anno. Gli occhi della regione e dei tanti emigrati al Nord e all’estero saranno puntati sulla sfida tra rossoblù e giallorossi. Sugli spalti si mescolano cronaca ed epica: vi raccontiamo le leggende di “Vallanzasca” e Bergamìn

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di Antonio Clausi
3 marzo 2024
06:15

Ventimila spettatori sugli spalti, una regione intera con gli occhi puntati sul prato del Marulla e due squadre che attaccheranno fin dal primo minuto per strappare all’altra la corona di regina della Calabria. Il derby Cosenza-Catanzaro, però, sarà anche il derby di chi dalla Calabria è lontano. Di chi lavora nei cantieri del Nord, di chi ha colto un’opportunità lontano dalla punta dello Stivale, di chi studia a Roma, Milano, Bologna, pensando alla bellezza dei nostri mari e al verde dei nostri monti.

Sarà il derby di chi si trova dall’altra parte del mondo: a Montreal, New York e Buenos Aires la partita si giocherà a colazione, al massimo all’ora di un aperitivo o con il profumo del sugo appena messo sul fornello. Bellezza del calcio, signori.


Cento episodi di campanile accompagnano una rivalità che per novanta minuti congela rapporti di amicizia, perfino di parentela. “I p' me, tu p' te” direbbe Geolier. Ci sono due storie, però, che in particolare meritano di essere raccontate. Non parlano di quanto sia stato bravo un allenatore o di come il calcio permetta a una foglia morta di finire alle stelle.  Non parlano di derby.

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Spiegano come un operaio possa trovare riscatto sociale dopo un gol o perdersi in se stesso dopo averlo subito. La linea tra la fedele narrazione dei fatti e il romanzo è stata sbiadita e ingiallita dal tempo, dal passaggio di bocca in bocca, ma entrambi gli episodi sono la risposta a chi sostiene che su quel prato verde, in fin dei conti, corrano soltanto 22 uomini in mutande.

Il Catanzaro neopromosso di Gianni Di Marzio il 31 ottobre 1976 giocava al Comunale di Torino contro la Juventus. L’esito della partita era scontato e il risultato mantenne fede ai pronostici della vigilia: 3-0 per i bianconeri con gol di Gentile, Bettega e Cuccureddu. Fin dall’inizio, tuttavia, colpì la presenza sugli spalti di un pubblico ostile alla Vecchia Signora. Impianto esaurito, ma quasi la metà faceva il tifo per le Aquile.

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Migliaia e migliaia di sportivi meridionali, a prescindere se fossero o meno tifosi del Catanzaro, scelsero di andare allo stadio per sostenere Davide contro Golia. I biglietti si facevano presso il "Catanzaro Club Sagittario" ospitato all'interno del ristorante "Il Morsello". L’epica del momento narra di come dalla tribuna centrale, dove prendevano posto l’alta borghesia e gli Agnelli, partirono insulti verso il Sud dopo un diverbio per un fallo laterale conteso tra Causio della Juventus e Braca del Catanzaro. 

I presenti raccontano che venne fuori tutto il razzismo di chi ritenesse un uomo nato altrove in Italia utile solo alle catene di montaggio. “Maledetti napoletani” divenne un complimento rispetto agli altri cori di scherno che, vero fulcro della questione, non furono originati dalla curva della Juventus. Ma dai perbenisti del palchetto d’onore.

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Un tifoso che in quelle fabbriche ci lavorava spaccandosi la schiena, ritenne che la misura fosse colma. Con una sciarpa giallorossa tipicamente anni ’70 intorno al collo che scendeva fin giù sui fianchi, invase il campo e si diresse con fare minaccioso verso gli spalti riservati alle autorità. Fu fermato nell’immediato dai carabinieri, ma se da un lato regalò uno scatto iconico, dall’altro innescò la reazione di un anziano fermato a fatica dai gendarmi e di altre centinaia di tifosi che ingaggiarono dei violenti scontri con le forze dell’ordine. A Catanzaro quel tifoso viene identificato con il nome Vallanzasca, per l’incredibile somiglianza con il bel Renè, il bandito famoso per la sua efferatezza, il fascino sulle donne e per le continue evasioni con cui riempiva le pagine di giornale.   

Se per il resto d’Italia quella domenica fu archiviata con semplici atti di teppismo e con hooligan nostrani all’opera, la miccia che scatenò una reazione, comunque sempre da stigmatizzare, trovò le fondamenta in un sentimento di rivalsa e nel rifiuto di etichette, ancora oggi attuali più che mai.

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La leggenda di Bergamìn in un drammatico Padova-Cosenza

Bergamìn era un tifoso del Cosenza. Dalla provincia ionica trovò lavoro a Livorno, alla TRW. Quando negli anni ’90 i Lupi giocavano al Nord non si perdeva mai una partita. L’8 giugno 1997 era a Padova, dove la derelitta squadra allenata da Gianni De Biasi doveva vincere per sperare nella salvezza. Settore ospiti pieno, lui c’era e chiedeva in giro come fosse morto davvero Denis Bergamini. Pronunciava il cognome senza la “i” finale. Da qui, di conseguenza, il suo soprannome. Quel pomeriggio non era tranquillo, sapeva che avrebbe dovuto lasciare con anticipo gli spalti per andare a lavorare. L’idea lo infastidiva perché non riusciva a concentrarsi fino in fondo sugli attacchi dei rossoblù.

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Nello spettacolo di mercoledì scorso al Rendano, Francesco Repice ha raccontato cosa avvenne dal minuto 90 in poi. Tutti sanno che Gigi Marulla segnò la rete del vantaggio arrampicandosi in cielo e spedendo il pallone in rete. Bergamin, convinto che i giochi fossero fatti e che la sua squadra avesse posto le basi per l’agognata salvezza, lasciò lo stadio per anticipare il traffico e imboccare l’autostrada. Aprendo lo sportello della sua vecchia Ritmo, quella con le maniglie a semicerchio, sentì un boato provenire da quelle stesse tribune che si era lasciato alle spalle. Si mise al volante, ma non girò la chiave.

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Dopo un’ora dalla fine della partita, gli stessi tifosi con cui aveva chiacchierato e condiviso emozioni poco prima lo trovarono immobile sul sedile e con lo sguardo perso. «Stai bene? Tutto ok?». «Sì, ma chi ha segnato? Abbiamo fatto 2-0 noi, vero? Ha segnato ancora Marulla in contropiede? Sapete, mi è salita l’ansia e non mi andava di farmi 300 chilometri così». Quei novanta, chiacchierati, minuti decretarono invece la retrocessione del Cosenza a causa di un gol di Lantignotti ben oltre l’ultimo minuto di gioco.

Oggi pomeriggio, chissà dove, Vallanzasca e Bergamin vedranno Cosenza-Catanzaro fianco a fianco. Tra un’azione di Tutino e un tiro di Iemmello troveranno il tempo di raccontarsi le loro storie, perché lontano dalla Calabria e fuori dal calcio la differenza tra la bandiera rossoblù e quella giallorossa è così sfumata che diventa impercettibile.

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